Volgarmente la potremmo battezzare come “dog flu” – nome traducibile grossomodo in “influenza canina” -, ma di fatto si tratta di una variante della ben più conosciuta influenza aviaria e che, a oggi, rappresenta un potenziale rischio per l’essere umano. Confusi? Non preoccupatevi – siamo qui anche per mettere ordine. Partiamo dunque dall’inizio: corre l’anno 2006, il virus H3N2 – discendente dall’aviaria, come accennato – infetta per la prima volta i cani. Gli anni passano, il morbo si evolve e si adatta fino a diventare una forma di influenza aviaria adattata ai mammiferi – la “dog flu”, per l’appunto.
Influenza aviaria e “canina”: siamo sull’orlo di una pandemia?
Da qui la preoccupazione della comunità scientifica. È risaputo che l’influenza aviaria possa contagiare l’uomo – basti dare un’occhiata alla cronaca recente e si trovano decine di casi più o meno gravi -, ma le autorità sanitarie si sono sempre dette certe del fatto che il virus non fosse in grado di trasmettersi da un essere umano all’altro; uno step, quest’ultimo, naturalmente determinante per innescare un contagio su larga scala.
Tra le preoccupazioni degli esperti c’è sempre stato il rischio che questa particolare mutazione – la capacità di trasferirsi da un essere umano a un altro, per l’appunto – potrebbe entrare in gioco qualora il virus fosse in grado di stabilirsi in una specie di mammifero e diventare, con il tempo, trasmissibile tra mammiferi diversi (uomo naturalmente compreso).
Ora, prima di continuare è bene porre una limitazione agli allarmismi: i più recenti rapporti della comunità scientifica continuano a sostenere che il rischio di una pandemia è assolutamente remoto, e che il rischio per l’uomo rimane basso. Alla luce dell’epidemia di influenza aviaria in corso, la più grave della storia, è tuttavia necessario essere consapevoli che tale rischio, per quanto lontano, è comunque reale; come d’altronde può testimoniare il fatto che la produzione di vaccini per l’uomo è già cominciata.
Ma torniamo alla nostra “influenza canina”: uno studio condotto dalla China Agricultural University e citato dal The Independent ha preso in esame oltre quattromila cani e scoperto che il virus è in grado di riconoscere i recettori delle cellule umane e di replicarsi al loro interno. La conclusione è chiara: “I nostri risultati hanno mostrato che i canini possono fungere da intermedi per l’adattamento dei virus dell’influenza aviaria all’uomo”.
Il proverbiale anello mancante, se preferite: i cani da compagnia potrebbero configurarsi come “paziente zero” di una potenziale pandemica. “I cambiamenti nel virus canino apparentemente lo stanno adattando meglio alla trasmissione all’interno dei mammiferi” ha aggiunto a tal proposito il professor James Wood, capo del dipartimento di medicina veterinaria dell’Università di Cambridge. Mammiferi uomo compreso, naturalmente.