Notizia tragica dalla Cambogia: una bambina di 11 anni, colpita dall’influenza aviaria, è venuta a mancare nelle ultime ore. Stando a quanto lasciato trapelare dalle autorità sanitarie del Paese si tratta della prima infezione umana individuata sul territorio nazionale dal relativamente lontano 2014: la nostra piccola protagonista, che viveva vicino a un’area protetta, si ammalò di febbre alta e tosse il 16 febbraio, e da allora le sue condizioni di salute sono velocemente peggiorate fino a rendere necessario il ricovero all’ospedale pediatrico nazionale di Phnom Penh. Gli sforzi del personale medico, tuttavia, si sono rivelati insufficienti; e la piccola non è riuscita a riprendersi dalla malattia.
Influenza aviaria: l’epidemia più grave di sempre e il pericolo per l’uomo
I nostri lettori più attenti sapranno che, nel contesto della stagione epidemica attuale (la più grave di sempre, di fatto), non si tratta affatto del primo caso individuato nell’essere umano: poco più di un mesetto fa dall’Ecuador ci giunse infatti notizia di una bambina ancora più piccola, di 9 anni appena, che aveva contratto il morbo; e prima ancora, durante i primi giorni di novembre, furono segnalati altri due casi in Spagna in due ragazzi di 19 e 27 anni che lavoravano in un allevamento di polli.
Uno scenario reso particolarmente più preoccupante dalle ormai crescente lista di positività riscontrate nei mammiferi: il salto di specie venne documentato per la prima volta nella Penisola Iberica, presso un allevamento di visoni; poi nelle lontre e nelle volpi inglesi, nelle linci a stelle e strisce e nelle foche della Scozia; e infine, nei casi più recenti, in centinaia di leoni marini nelle aree protette di tutto il Perù.
A rendere particolarmente nervosa la comunità scientifica è proprio l’apparente facilità con cui il virus dell’influenza aviaria è ora in grado di infettare non solo i nostri amici pennuti, ma anche i mammiferi – una diffusione che, considerando la natura notoriamente instabile e soggetta a mutazioni del morbo in questione, potrebbe portare in un futuro più o meno prossimo a ulteriori evoluzioni che lo renderebbero pericoloso anche per l’essere umano.
Il rischio, concorda la comunità scientifica, è ancora basso: per riuscire effettivamente a trasmettersi tra gli uomini il virus dovrebbe andare incontro a una catena di mutazioni piuttosto lunga e complicata; ma per quanto remota la possibilità di una nuova pandemia non può essere ignorata.
Per il momento l’OMS continua a valutare il rischio per l’uomo come basso, e sottolinea che, da quando l’H5N1 è emerso per la prima volta nell’ormai lontano 1996, si è verificata una singola trasmissione da e tra gli esseri umani.