L’imperversare dell‘influenza aviaria non guarda in faccia nessuno – nemmeno uno dei santuari della biodiversità più importanti al mondo, iconico e allo stesso tempo consegnato alla leggenda grazie agli studi di un certo Charles Darwin. Ci stiamo riferendo, naturalmente, all’arcipelago delle Galapagos, rimasto coinvolto nella stagione epidemica che, stando ai rapporti redatti dalle stesse autorità sanitarie, è di fatto la peggiore di sempre. A onore del vero è importante segnalare che, già da qualche giorno, il governo dell’Ecuador ha ritenuto opportuno annunciare lo stato di emergenza sanitaria su tutto il territorio nazionale (Isole Galapagos comprese, naturalmente) in seguito alla rilevazione di alcune positività al virus in questione.
Influenza aviaria: qual è la situazione nel mondo?
La cautela sull’arcipelago delle Galapagos è dovuta al fatto che, naturalmente, in questo gruppo di isolotti gli andirivieni di volatili sono continui; motivo per cui il direttore del Parco Nazionale delle Galapagos, Danny Rueda, ha ritenuto opportuno attivare un servizio di monitoraggio permanente con particolare attenzione nelle aree in cui si rileva una maggiore concentrazione di uccelli marini o in cui l’afflusso turistico è maggiore.
L’obiettivo, ovviamente, è quello di tutelare il più possibile le specie uniche o comunque molto rare che abitano questo particolare angolo di mondo; evitando una carneficina come quella che ha colto il vicino Perù: qui, nel Nord del Paese (che tra l’altro segna pure il confine con lo stesso Ecuador), le autorità sanitarie hanno infatti riportato che l’aviaria ha decimato le colonie locali di pellicani, con circa 14 mila esemplari rimasti uccisi.
Non è un caso, d’altronde, che anche il governo peruviano abbia deciso di introdurre in concomitanza a quello ecuadoriano lo stato di emergenza: ad appena un paio di settimane dalla segnalazione dei primi casi sul territorio nazionale, infatti, il paese sudamericano ha subito una brusca accelerata delle positività; spingendo le autorità governative a correre ai ripari.
La situazione nel Vecchio Continente, nel frattempo, non è affatto meno disperata: solamente un paio di giorni fa, nella giornata di mercoledì 14 dicembre, la Repubblica Ceca ha deciso di vietare gli allevamenti di pollame all’aperto su tutto il territorio nazionale (una misura, questa, adottata un mesetto fa anche dalla Francia); mentre in quel d’Oltremanica i numeri parlano chiaro: la metà dei tacchini allevati all’aperto negli stabilimenti del Regno Unito sono morti o abbattuti, con il prezzo che è aumentato con una media del 45%. Il risultato? Beh, con ogni probabilità sarà un Natale piuttosto magro.