Prevenire è meglio che curare, recita un proverbio. L’Organizzazione mondiale per la salute animale (WOAH) alza il vessillo del vaccino contro l‘influenza aviaria, e tenta di esortare i governi di tutto il mondo – che d’altronde, dati alla mano, il virus è ormai stato individuato in più o meno tutto il globo terracqueo – a dare il via a una campagna di vaccinazione del pollame per scongiurare il rischio di una pandemia. Ma riavvolgiamo un poco il nastro, prima di farci prendere dagli allarmismi; che certe parole – pandemia su tutte, ormai una vecchia conoscenza dopo l’esperienza con il Covid – si portano dietro un ingombrante bagaglio di timori che è bene tenere sotto controllo.
Influenza aviaria tra vaccini e pandemia: il rischio per l’uomo
Il rischio per l‘essere umano è basso. Il verdetto della comunità scientifica è unanime: l’attuale stagione epidemica di influenza aviaria, la più grave della storia, sta mietendo centinaia di migliaia di vittime tra pennuti selvatici e da allevamento – e i nostri lettori più attenti ricorderanno che da una manciata di mesi a questa parte sono in netta crescita anche i preoccupanti casi riscontrati nei mammiferi -, ma il rischio per l’uomo continua, lo ripetiamo, a essere basso.
Chiaro, ci sono state – e continueranno a esserci, con ogni probabilità – delle infezioni umane, soprattutto tra individui che si trovano a condividere spazi di lavoro (o talvolta domestici) con il pollame; ma le autorità sanitarie sono state granitiche nel sostenere che si tratta di una semplice conseguenza alla loro sopracitata vicinanza ad animali potenzialmente infetti (talvolta accompagnata da una mancata osservanza dei protocolli di sicurezza e igiene).
La pietra angolare che sostiene l’ottimismo degli scienziati è l’attuale incapacità del virus dell’influenza aviaria di trasmettersi da un uomo a un altro. Notate bene – il morbo in questione è potenzialmente in grado di sviluppare tale capacità, ma dovrebbe andare incontro a una lunga serie di mutazioni per riuscirci. In altre parole, il rischio è remoto – ma anche inconfutabilmente esistente e concreto.
Da qui il primo tassello a favore del vaccino – prevenire è meglio che curare, dicevamo. Il secondo riguarda naturalmente gli ingenti danni economici agli allevamenti (e non solo – pensiamo al prezzo delle uova) causati dall’imperversare dell’influenza aviaria, che d’altronde una filiera che per sopravvivere continua ad automutilarsi con severissime procedure di abbattimento non brilla certo per sostenibilità.
Per alcuni Paesi la corsa ai vaccini è già cominciata – pensiamo alla Francia, che ne ha già ordinate 80 milioni dosi -, mentre altri – come gli Stati Uniti, che si stanno solamente approcciando ai test vaccinali – tentennano temendo potenziali ripercussioni economiche sulle proprie esportazioni.
Proprio la Francia si sta configurando come perno centrale del blocco vaccinale europeo: in questi giorni la WOAH sta tenendo a Parigi una sessione generale di cinque giornate in cui si discuterà del controllo globale dell’influenza aviaria altamente patogena, o HPAI. Monique Eloit, direttrice generale della WOAH, si augura che anche il resto dell’Europa segua l’esempio francese: “Se un blocco come l’UE, che è un grande esportatore, inizia a muoversi verso una vaccinazione di massa, ci sarà un grande seguito”.