Ve la facciamo semplice – il mondo è alle prese con l’epidemia di influenza aviaria più grave di sempre. Una notizia, questa, che non dovrebbe affatto sorprendervi (a meno che non abbiate passato gli ultimi mesi in esilio e senza accesso a internet; e in tal caso vi invidiamo parecchio): numeri alla mano, nel lasso di tempo compreso tra ottobre 2021 e dicembre 2022 sono stati uccisi ben 140 milioni di uccelli da allevamento, con le segnalazioni di positività che abbracciano praticamente l’intero globo terrestre. In questo contesto, una coorte internazionale di ricercatori sta analizzando con torbida preoccupazione l’impatto che la malattia potrebbe avere sull’essere umano e cosa potrebbe accadere nel caso in cui dovessero verificarsi dei contagi su larga scala. La risposta potrebbe non piacervi – ma la buona notizia è che l’esperienza degli ultimi anni, con la pandemia da Covid, potrebbe tornarvi utile.
I commenti della comunità scientifica e il potenziale pandemico
Ok, prima cosa – il virus è attualmente considerato “a basso rischio” per l’essere umano. Parola chiave: attualmente. Parliamo, d’altronde, di un virus altamente instabile – la possibilità che possa mutare e diventare pericoloso anche per noi bipedi sprovvisti di piume è assolutamente concreta. “La possibilità che ciò accada è molto piccola, ma l’impatto – se dovesse accadere – sarebbe molto grande” ha commentato a tal proposito Thijs Kuiken, professore presso il dipartimento di viroscienza presso l’Erasmus University Medical Center di Rotterdam. “Avremmo una nuova pandemia”.
Una parola che, ormai, dovremmo conoscere bene. Più il virus continua a diffondersi nella fauna selvatica o negli allevamenti, maggiori sono le possibilità che possa diffondersi negli esseri umani – un passaggio che, in Spagna ed Ecuador, è già accaduto -, e dopodiché evolversi ancora per consentire la trasmissione da uomo a uomo.
Un rischio possibile, ma apparentemente ancora lontano: il consenso della comunità scientifica è che il morbo dovrebbe andare incontro a una serie di mutazioni piuttosto lunga per riuscire a trasmettersi tra gli esseri umani. “È un virus che conosciamo da 18 e abbiamo visto in varie forme, e nessuna di queste gli ha permesso di acquisire la funzione di essere facilmente trasmissibile all’uomo” ha commentato a tal proposito Ian Barr, vicedirettore del Centro di collaborazione per il riferimento e la ricerca sull’influenza dell’OMS a Melbourne.
Altro importante tassello di questo caotico mosaico è il fatto che questo ceppo di influenza aviaria è ormai ampiamente penetrato nelle colonie di uccelli selvatici: “Avevamo quest’idea che, controllando la presenza del virus nel pollame, non ci sarebbero stati problemi” ha spiegato Nichola J Hill, assistente professore di biologia all’Università del Massachusetts a Boston. “Ora, però, stiamo affrontando una nuova era perché, stabilizzandosi negli uccelli selvatici, fare previsioni su dove possa diffondersi è diventato molto più complicato“.