L’influenza aviaria sta imperversando in tutto il mondo, con le stime più recenti che indicano come le misure necessarie al suo contenimento abbiano già portato all’abbattimento di oltre 140 milioni di uccelli da allevamento. La comunità scientifica e le autorità sanitarie sembrano concordare sul fatto che il principale vettore di espansione del virus sia rappresentato dall’imprevedibile fauna selvatica, che migrando ha per l’appunto “portato” il morbo in tutti gli angoli del mondo; ma se l’aviaria dovesse tuttavia prendere piede anche in Australia, a pagare il conto più salato sarebbe il grazioso cigno nero, che rischierebbe di andare incontro a una crudele e prematura estinzione.
A cosa è dovuta la fragilità del cigno nero?
Si tratta della triste conclusione di uno studio internazionale che ha sequenziato per la prima volta sia il genoma del cigno nero che quello del suo cugino bianco: “I cigni neri hanno una base genetica simile a quella dei cigni reali, ma ci sono alcune differenze nette” ha spiegato Kirsty Short, coautrice dello studio e virologa presso l’Università del Queensland, nel sottolineare come i cigni neri australiani manchino di alcuni geni immunitari necessari a combattere le infezioni virali presenti in altre specie di cigni o uccelli acquatici. “In altre parole, se l’influenza aviaria dovesse mai arrivare in Australia, i cigni neri sarebbero davvero vulnerabili”.
Se i loro cugini più pallidi e altre specie di uccelli acquatici potrebbero semplicemente accusare qualche lieve sintomo, i cigni neri andrebbero incontro a una morte rapidissima: “Morirebbero in due, massimo tre giorni” ha commentato Anjana Karawita dell’Australian Center for Disease Preparedness. Una stima che trova piena risonanza nella realtà: nel 2020, ad esempio, cinque cigni neri dello zoo biblico di Gerusalemme vennero trovati morti dopo essere stati infettati dal ceppo H5N8, mentre il resto degli uccelli acquatici non venne nemmeno colpito.
Questa fragilità così marcata all’influenza aviaria è sempre rimasta un mistero irrisolto: lo studio in questione, poi pubblicato sulla rivista Genome Biology, ha fornito le risposte necessarie a fare chiarezza. “Sospettiamo che l’isolamento dell’Australia abbia avuto un ruolo fondamentale nel tenere al sicuro il cigno nero” hanno commentato gli autori della ricerca.
Ora, tuttavia, con il ceppo H5N1 che sta imperversando in Europa, America e Asia, il timore è che il virus approdi finalmente anche in Australia. “Non abbiamo idea di quanti uccelli selvatici siano morti a causa di questo focolaio perché la maggior parte delle agenzie non li conta nemmeno” ha commentato il dottor Wille, che è coinvolto nella sorveglianza dell’influenza aviaria nelle popolazioni di uccelli selvatici australiani.
“Se il virus dovesse arrivare in Australia sarebbe una catastrofe” ha concluso la dottoressa Short. “Se il Covid ci ha insegnato qualcosa è che dobbiamo essere consapevoli di queste minacce emergenti e soprattutto di virus di questo tipo, che possono riversarsi anche sugli esseri umani”. Già, sante parole. La comunità scientifica, d’altronde, si è già pronunciata a riguardo: la prossima pandemia potrebbe essere dietro l’angolo.