Il Cile ha rilevato la prima infezione in un essere umano di influenza aviaria, ha annunciato lo stesso Ministero della Salute. Si tratta di un uomo di 53 anni che, stando a quanto lasciato trapelare dalle autorità sanitarie cilene, presenta gravi sintomi influenzali ma che al momento si trova in condizioni stabili. Naturalmente la notizia ha innescato una certa (comprensibile) frenesia, e il personale medico si è immediatamente attivato per indagare sulla fonte del contagio e al contempo contattare e testare altri individui che, nelle ore precedenti all’individuazione del caso, possono essere entrati in contatto con il paziente.
Influenza aviaria, un altro caso nell’uomo: l’abisso della pandemia
Gran parte del più recente dibattito circa l’attuale stagione epidemica di influenza aviaria – che, dati alla mano, è di gran lunga la più grave di sempre – ha riguardato il potenziale pandemico di questo particolare morbo. Più precisamente, a innescare la preoccupazione della comunità scientifica (al di là dei numeri di volatili uccisi dal virus o abbattuti in via di precauzione, beninteso) sono i crescenti casi di infezione di mammiferi, cominciati verso l’inizio dell’anno in un allevamento spagnolo di visoni e recentemente individuati nelle puzzole e nelle moffette del Canada.
Attenzione, però: pensare che le positività nei mammiferi si riducano a questi due casi più o meno isolati è un grosso errore. A onore del vero l’influenza aviaria ha già mietuto mammiferi in Francia, Scozia, Stati Uniti, Regno Unito e soprattutto in Perù, dove il personale veterinario locale racconta di una vera e propria strage di leoni marini nelle aree protette di tutto il Paese.
L’America del Sud si sta d’altronde confermando come uno dei centri di maggiore allarme per l’influenza aviaria, con il Brasile, il più grande esportatore mondiale di pollame, che rimane uno dei pochi Paesi a non aver rilevato ancora nemmeno un singolo contagio. Non mancano nemmeno le infezioni negli esseri umani: pensiamo all’Ecuador, dove si è ammalata una bambina di 9 anni, e più recentemente ancora in Cile, come riportato in apertura di articolo.
La comunità scientifica ha espresso giudizio pressoché unanime nel definire “basso” il rischio di una potenziale pandemia, con il più recente rapporto dell’Efsa che imputa le positività riscontrate nell’uomo a casi di persone “esposte a pollame malato e morto, che non indossavano dispositivi di protezione individuale, in particolare negli allevamenti da cortile”. È però bene notare che il rischio, per quanto remoto (il virus, prima di riuscire a evolversi al punto da trasmettersi facilmente da uomo a uomo, dovrebbe andare incontro a una lunga serie di mutazioni) è tuttavia esistente; tant’é che in via precauzionale il vaccino per l’uomo è già in fase di sviluppo.