Abbattimenti su larghissima scala e uova a peso d’oro: anche gli Stati Uniti sono stati trascinati nel vortice della più grande epidemia di influenza aviaria di sempre, con il virus che – stando ai dati più recenti, riportati dal New York Times – ha già colpito più di 58 milioni di uccelli d’allevamento in 47 stati, oltre ad aver causato la morte di innumerevoli pennuti selvatici. Con la comunità scientifica allertata dai casi crescenti nei mammiferi – sono già state riscontrate positività nei visoni, volpi, linci rosse, leoni marini e foche in più parti del globo – e l’ombra di una potenziale pandemia che, per quanto remota, comincia a farsi sempre più temibile, l’amministrazione Biden starebbe contemplando di intraprendere una campagna di vaccinazione di massa per il pollame.
Influenza aviaria tra mammiferi, vaccini e pandemie
Prima di farci prendere dal panico, è bene notare che gli esperti dei Centers for Disease Control and Prevention concordano nel classifica il rischio di pandemia come “basso”, anche prendendo in considerazione i recenti casi di positività riscontrati nell’uomo. La lettura delle autorità sanitarie e scientifiche è che, data l’estrema diffusione del virus in questo particolare momento storico, un aumento dei casi negli esseri umani (specialmente in coloro che si trovano a maneggiare il pollame per lavoro, ad esempio) è una conseguenza naturale, per quanto sgradevole; e che per giungere alla paventata trasmissione tra uomo e uomo – che sbloccherebbe definitivamente il potenziale pandemico dell’influenza aviaria – il morbo dovrebbe andare incontro a una lunga serie di mutazioni.
Il rischio, insomma, è lontano; ma è bene essere consapevoli che esiste ed è pericolosamente concreto, soprattutto alla luce dei crescenti casi nei mammiferi. La scelta dei funzionari del dipartimento statunitense dell’agricoltura di iniziare a testare potenziali vaccini per il pollame, in ogni caso, rimane; così come rimangono le sue conseguenze che, immaginiamo, nei prossimi giorni verranno presi in attenta considerazione dai nostri amici a stelle e strisce.
La pietra dello scandalo in questo caso riguarda soprattutto le potenziali restrizioni commerciali a cui l’industria avicola statunitense potrebbe andare incontro, e che mutilerebbe in maniera radicale un flusso di esportazione che oggi vale 6 miliardi di dollari.
La campagna di vaccinazione, per quanto potrebbe rappresentare una valida risposta alla diffusione dell’epidemia e al contempo ridurre i rischi di una pandemia umana, rimane dunque un opzione rischiosa; e alla quale i funzionari della Casa Bianca preferiscono – al momento – le semplici raccomandazioni che ormai conosciamo a memoria: tenere i pennuti al chiuso, disinfestare i lavoratori negli allevamenti, segnalare alle autorità competenti morie improvvise e sospette.
I detrattori del vaccino non si rifanno solamente a motivazioni economiche, tuttavia. Alcuni scienziati, ad esempio, hanno evidenziato come la vaccinazione potrebbe ridurre la gravità della malattia senza tuttavia interrompere la trasmissione, stimolando l’emergere di nuove varianti immunitarie. Altri, come Robert G. Webster, esperto di influenza aviaria presso il St. Jude Children’s Research Hospital di Memphis, sono dell’opinione opposta: “Nelle attuali circostanze dovremmo vaccinare la popolazione di pollame degli Stati Uniti contro l’H5N1, assolutamente” ha commentato. “Una tale campagna potrebbe prevenire l‘inevitabile trasmissione agli esseri umani”.