La violenza della guerra in Ucraina, la folle galoppata del tasso di inflazione e lo spettro di un periodo di recessione dominano le notizie, ma la carneficina determinata dall’imperversare dell’influenza aviaria sta polverizzando un record dopo l’altro. La stagione epidemica in corso, la più grande di sempre nel contesto del Vecchio Continente, sta decimando le popolazioni di pennuti selvatici e non in tutto il globo: in Europa e nel Regno Unito sono stati abbattuti 50 milioni di volatili, gli Stati Uniti sono alle prese con abbattimenti e infezioni che hanno provocato divieti all’esportazione e una minore produzione di uova (con i prezzi che, ovviamente, si sono impennati) e nemmeno le colonie di pinguini del Sud Africa sono al sicuro.
I dati forniti dal Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti indicano che nell’ultima epidemia di influenza aviaria, nell’ormai lontano 2015, perirono circa 50 milioni di uccelli. Nei primi nove mesi dell’anno in corso, invece, ne sono già stati colpiti 47,6 milioni, con il morbo che si è diffuso in ben 42 stati: in altre parole, salvo clamorose inversioni di tendenza, i numeri del 2015 potrebbero essere polverizzati dall’epidemia attualmente in corso.
“Questo virus potrebbe restare presente negli uccelli selvatici per il prossimo futuro”, ha affermato Rosemary Sifford, funzionario dell’USDA, durante un’intervista con Reuters. “Purtroppo, ciò che abbiamo fatto probabilmente non è stato sufficiente per proteggerci da questo elevato carico di virus nella popolazione di esemplari selvatici”.