I funzionari del Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti stanno testando quattro vaccini nella speranza di fermare la portata dirompente di quella che, numeri alla mano, è la stagione epidemica di influenza aviaria più grave di sempre. Stando a quanto lasciato dichiarato da un portavoce dell’USDA – e successivamente dovutamente riportato dai colleghi del The Washington Post – si tratterebbe di vaccini sviluppati dal produttore di farmaci per animali Zoetis e Merck Animal Health in occasione dell’ultima epidemia su larga scala, avvenuta nell’ormai lontano 2015, e rimasti da allora inutilizzati.
Influenza aviaria e il vaccino degli Stati Uniti: tutti i dettagli
L’intenzione degli Stati Uniti, come di fatto già vi anticipammo qualche tempo fa, sarebbe quella di lanciare una vera e propria campagna di vaccinazione su scala nazionale in modo tale da proteggere al meglio l’industria avicola a stelle e strisce dall’imperversare dell’influenza aviaria. Un obiettivo, quest’ultimo, che a oggi pare ancora piuttosto lontano: prima di dare il via a un progetto del genere occorrerà infatti terminare prima le prove attualmente in corso e poi identificare aziende e case farmaceutiche per avviare la produzione effettiva.
Valutando la migliore delle ipotesi, le autorità sanitarie statunitensi stimano una tempistica compresa tra i 18 e i 24 mesi prima di riuscire a ottenere una quantità commerciale di vaccino che corrisponda al ceppo virale attualmente in circolazione. Rimane per di più implicito che le autorità governative andranno a valutare eventuali restrizioni commerciali con cui il pollame a stelle e strisce, una volta vaccinato, potrebbe andare a scontrarsi.
Resta il fatto che l’attuale strategia di abbattimento, che ha portato all’uccisione di oltre 140 milioni di uccelli da allevamento (un dato, quest’ultimo, risalente all’ormai lontano inizio dell’anno), presenta importantissimi limiti economici ed etici: tra le conseguenze più marcate ricordiamo, ad esempio, l’impennata dei prezzi subita dalle uova, con alcuni paesi – come il Giappone – in cui sono pressoché sparite dai menu dei ristoranti.
L’altra ingombrante ombra legata all’influenza aviaria è quella rappresentata da una pandemia: una eventualità al momento ancora ben remota, considerando che il virus dovrebbe mutare considerevolmente per riuscire a trasmettersi da un essere umano all’altro, ma senz’altro concreta ed esistente. A far preoccupare la comunità scientifica, già allertata dai crescenti casi di infezione nei mammiferi negli ultimi mesi, è in particolare la cosiddetta influenza “canina”, una variante già specializzata nell’infettare cani e altri mammiferi e che potrebbe dunque rappresentare un potenziale “ponte” verso il contagio su larga scala di esseri umani.