Il mondo è alle prese con una nuova e violenta ondata di influenza aviaria – dall’Europa, dove ancora pesa l’ombra della scorsa stagione epidemica (la più grave di sempre, secondo il parere della comunità scientifica), fino ai poli, dove il morbo ha per la prima volta mietuto, tra le sue numerose vittime, un orso polare.
A preoccupare la comunità scientifica è però anche e soprattutto la segnalazione, avvenuta nelle ultime ore, di una infezione avvenuta in un essere umano in quel di Hong Kong: si tratta di una bambina di appena ventidue mesi, risultata per l’appunto positiva all‘influenza aviaria di tipo A/H9. Non si tratta naturalmente del primo caso individuato nell’uomo: in questa particolare circostanza, a esacerbare l’inquietudine degli scienziati e delle autorità governative, c’è tuttavia il mistero inerente alle modalità di contagio.
L’influenza aviaria e il rischio di una nuova pandemia
Il contagio da influenza aviaria nell’essere umano, per quanto spiacevole, non è per l’appunto una novità. Basta tornare indietro nel tempo di una manciata di mesi, alla sopracitata precedente stagione epidemica, per trovare un gran numero di casi: dal Cile fino alla Cina, passando anche per il Regno Unito.
Tendenzialmente la comunità scientifica non ha mai dovuto faticare per individuare il cosiddetto fil rouge che spiegava il contagio e li univa sotto un unico ombrello tematico – quello della prolungata vicinanza a volatili potenzialmente già infetti, ad esempio per motivi di lavoro, magari unito a una manipolazione degli animali avvenuta senza le adeguate protezioni necessarie a scongiurare l’infezione.
Il caso di Hong Kong, come accennato, pare diverso. La piccola vittima – che al momento si trova in condizioni stabili – non ha avuto contatti con volatili potenzialmente infetti né ha mangiato pollame poco cotto: tra i medici si sta facendo strada la possibilità di una trasmissione da uomo a uomo, potenziale e grave campanello di allarme che potrebbe potenzialmente innescare i primi battiti di una nuova pandemia.
Il pericolo pandemico è stato citato più volte durante l’anno scorso, quando da tutto il mondo provenivano segnalazioni di massicce infezioni da influenza aviaria nei mammiferi. La lettura proposta dalla comunità scientifica è sempre stata che, al netto di un aumento dei casi anche negli esseri umani (causati, come già accennato, da una matematica crescita dei casi nei volatili e dalla mancata osservanza delle norme di sicurezza), si trattasse di un pericolo remoto.
Il virus dell‘influenza aviaria avrebbe infatti dovuto attraversare una lunga catena di mutazioni per sviluppare la capacità di trasmettersi da uomo a uomo, tassello imprescindibile per manifestare una potenziale pandemia: è giusto notare, però, che il morbo in questione è notoriamente instabile e soggetto a continue mutazioni, rendendo tale scenario remoto ma comunque possibile. Lo spauracchio, in altre parole, c’è: non a caso la scorsa stagione epidemica spronò anche allo sviluppo di un vaccino per l’uomo.