Che i numeri dell’influenza aviaria stiano continuando a crescere non dovrebbe quasi fare più notizia: è una di quelle cose che, ormai, è abbondantemente penetrata nella sfera dell’abitudine e intorpidito qualsiasi reazione a riguardo. L’allerta della comunità scientifica, tuttavia, è alta come non mai: al di là delle morti sempre più frequenti di pennuti, infatti, a preoccupare i ricercatori e le autorità sanitarie sono i casi sempre più comuni di positività anche tra i mammiferi. Il cosiddetto salto di specie avvenne verso la fine di gennaio, in Spagna, presso un allevamento di visoni; e da allora ha cominciato a mietere vittime anche tra lontre, foche e soprattutto nelle colonie di leoni marini del Perù. I casi più recenti, tuttavia, riguardano le puzzole del Canada.
Influenza aviaria, tra pennuti e mammiferi
L’annuncio arriva direttamente dalle autorità sanitarie della British Columbia, che hanno individuato l’influenza aviaria come causa della morte di otto esemplari di puzzole americane. Gli animali furono trovati verso la fine di febbraio presso le aree residenziali delle città di Richmond e Vancouver, e i primi sospetti del personale veterinario facevano risalire la loro dipartita a un avvelenamento. I risultati degli esami, tuttavia, hanno confermato che i mammiferi avevano contratto lo stesso ceppo di influenza aviaria A/H5N1 protagonista della stagione epidemica più grave di sempre.
La risposta della British Columbia non si è fatta attendere, e ha diramato un comunicato stampa per istruire la popolazione a contattare quanto prima le autorità sanitarie in presenza di animali deceduti. “Mentre l’influenza aviaria nelle puzzole è considerata a basso rischio per la salute umana” si legge nella nota stampa emessa dalla BC “ci sono sempre rischi quando persone e animali domestici entrano in contatto con animali selvatici malati o morti, comprese puzzole e uccelli”.
A basso rischio, già: se è pur vero che l’infezione continua a colpire soprattutto i pennuti, i crescenti casi di positività nei mammiferi hanno paventato il rischio di una potenziale pandemia. Il verdetto della comunità scientifica, tuttavia, è ancora ampiamente positivo: è vero, il rischio esiste e si sono già contati diversi casi di contagio negli esseri umani, ma affinché il salto da uomo a uomo diventa una realtà il virus dovrebbe andare incontro a una lunga e poco probabile serie di mutazioni.
L‘Ecdc (Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie), nel frattempo, rassicura: la maggior parte delle infezioni umane sopracitate “erano correlate a persone esposte a pollame malato e morto, che non indossavano dispositivi di protezione individuale, in particolare negli allevamenti da cortile”.