In Sicilia è stato trovato un bacino sotterraneo di acqua da 17 miliardi di metri cubi: è la soluzione alla siccità?

Al di sotto dei Monti Iblei, nella Sicilia meridionale, è stata ritrovata una enorme riserva di acqua: può essere una potenziale soluzione alla siccità?

In Sicilia è stato trovato un bacino sotterraneo di acqua da 17 miliardi di metri cubi: è la soluzione alla siccità?

Campi secchi e polverosi, acqua razionata, cielo limpido e spietato: la Sicilia continua a languire, stritolata dal cappio della siccità. Nulla di nuovo sotto il sole, diranno i nostri lettori più cinici: l’ultimo biennio è stato notoriamente caratterizzato da una forte avidità di precipitazioni un po’ per tutto lo Stivale, ma in Sicilia l’emergenza ha continuato a protrarsi fino ai giorni nostri.

Nelle ultime ore, però, un rapporto dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia ha ventilato una potenziale soluzione: il ritrovamento di un enorme bacino sotterraneo, incastonato nel profondo cuore dell’isola, tra gli 800 e i 2100 metri di profondità. Numeri alla mano, gli scienziati stiano che il volume di acqua immagazzinato sia di circa 17 miliardi di metri cubi.

Le conseguenze (e i problemi) della scoperta

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Il bacino in questione si troverebbe al di sotto dei Monti Iblei, nella Sicilia meridionale, e sarebbe popolato da acque a vario grado di salinità (le più profonde, l’avrete già intuito, sono quelle con grado maggiore in assoluto) e pertanto non direttamente utilizzabili per il consumo umano.

Secondo Lollobrigida “la siccità ha colpito il Sud, per fortuna” Secondo Lollobrigida “la siccità ha colpito il Sud, per fortuna”

Uno studio pubblicato sulla rivista Communications Earth & Environment di Nature Portfolio ne ha rilevato la presenza nella Formazione di Gela, una piattaforma carbonatica Triassica nel sottosuolo della Sicilia meridionale. La scoperta del bacino è il risultato di un approccio che ha combinato l’analisi di pozzi petroliferi profondi con avanzate tecniche di modellazione tridimensionale del sottosuolo.

“Abbiamo attribuito la distribuzione di questo accumulo di acque fossili a un meccanismo di ricarica meteorica guidato dall’abbassamento del livello del mare nel Messiniano” ha spiegato Lorenzo Lipparini, ricercatore dell’Ingv – Universita’ di Malta, professore dell’Università Roma Tre e primo autore dello studio. Ma questo tesoretto preistorico è effettivamente utilizzabile? Lipparini è ottimista.

“Queste acque addolcite potrebbero avere utilizzi diversificati, dalla potabilità all’utilizzo per scopi industriali e agricoli“, ha spiegato. E non è tutto: non è da escludere che nel futuro prossimo, grazie al sopracitato approccio innovativo, possano essere individuati altri giacimenti simili sia nelle profondità dell’Etna che nella parte nord-occidentale dell’isola; o ancora in “altre aree dell’Italia e del Mediterraneo caratterizzate dalla carenza idrica e da condizioni geologiche analoghe”.