La scomoda verità è che l’Italia se la cava piuttosto male quando si parla di spreco alimentare. Vogliamo dire, i numeri parlano chiaro: un rapporto relativamente recente (ottobre 2022, tanto per intenderci) dell’Eurostat piazzava gli abitanti dello Stivale nettamente al di sopra della media europea, con uno spreco annuo pro capite di 146 chili complessivi contro i 127 chili del Vecchio Continente. Vero, per carità; i nostri lettori più attenti potrebbero farci notare che il rapporto in questione prende in esame dati del 2020, anno notoriamente stravolto dall’imperversare della pandemia, che potrebbe avere modificato le abitudini degli italiani rendendoli fondamentalmente più pigri (e più spreconi).
Una lettura legittima (anche se una domanda sorge spontanea: non dovrebbero essere stati più “pigri” anche tutti gli altri?), che potrebbe trovare una certa risonanza in studi più recenti che raccontano di una contrazione dello spreco alimentare del 12% su base annua; ma la verità è che, anche considerando quest’ultimo dato, il margine di miglioramento rimane ampissimo. Questo ci porta ai dati più recenti in assoluto, che fondamentalmente ci riallineano a una posizione evidentemente problematica: si è passati dai 75 grammi di cibo buttato ogni giorno a testa nel 2023, a quasi 81 grammi nel 2024, in pratica oltre mezzo chilo (566,3 grammi).
Lo spreco alimentare in Italia: un’occhiata ai numeri
Dati che derivano dal Rapporto ‘Il caso Italia’ dell’Osservatorio Waste Watcher International, in vista dell’11/a Giornata nazionale di Prevenzione in programma lunedì 5 febbraio, e che scattano una fotografia precisa: l’Italia continua a cavarsela particolarmente male quando si tratta di spreco alimentare. Diamo un’occhiata a qualche numero.
Stando a quanto contenuto nel rapporto in questione lo spreco alimentare “colpisce” particolarmente nelle città e nei grandi Comuni (+ 8%), e interessa soprattutto le famiglie senza figli (+3%). Potrebbe valere la pena incrociare questi dati con quelli di un altro rapporto piuttosto recente, quello realizzato da OpinionWay/Smartway, che identifica nella frangia dei giovani uomini di età compresa tra i 18 e i 25 anni la parte di popolazione più sprecona.
Ma torniamo a noi. È interessante notare che, tra le fila di chi spreca di più, sono presenti anche e soprattutto i consumatori a basso potere d’acquisto (+17%) – un fenomeno più accentuato al Sud (+ 4% rispetto alla media nazionale) e meno a Nord (- 6%). Numeri e percentuali che, se tradotti in più concreti termini economici, ci insegnano che lo spreco alimentare in Italia vale più di 13 miliardi, con il solo spreco domestico che incide per quasi 7,5 miliardi (a cui va aggiunto quello nella distribuzione di quasi 4 miliardi e quello in campo e nell’industria, ben più contenuto).
Segnaliamo, infine, come sia possibile tracciare una interessante relazione tra lo spreco alimentare e l’allarme sociale: chi si dichiara ‘povero’ mangia peggio e spreca di più (+17%) – una conseguenza dovuta al fatto che l’effetto prolungato dell’inflazione abbia abbassato notevolmente il potere d’acquisto, indirizzando i nuclei meno abbienti a cibo di peggiore qualità e più facilmente deteriorabile.