In Giappone inizia la stagione di caccia al delfino, nonostante le polemiche

Anche questo settembre riprende in Giappone la caccia ai delfini. La pratica è indiscutibilmente impressionante, ma possiamo davvero giudicare?

In Giappone inizia la stagione di caccia al delfino, nonostante le polemiche

Se a settembre molti di noi cercano di riprendere le buone abitudini, c’è un angolo di mondo dove proprio in questo periodo certe tradizioni iper-criticate sono dure a morire. Parliamo della caccia ai delfini, la cui stagione si è aperta al largo di Taiji in Giappone proprio all’inizio di settembre e proseguirà per ben sei mesi.

Come e perché in Giappone cacciano i delfini

Caccia ai delfini in GiapponeFonte: Kyodo News

Prima di addentrarci in qualsiasi discorso di tipo etico-ambientale, cerchiamo di capire cosa succede esattamente. La caccia ai delfini nel Paese del Sol Levante è una pratica non solo legale, ma anche fortemente caldeggiata. Le ragioni? Agli occhi dello Stato asiatico viene considerata una tradizione nazionale, portata avanti da secoli a scopo alimentare e commerciale. Lo stesso si può dire – o meglio, ci dicono – della caccia alle balene e agli squali.

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Ma come si svolge questo macabro spettacolo? Per catturare i cetacei, i cacciatori accerchiano diversi esemplari (i delfini sono animali sociali e tendono a stare in branco) in una baia, battendo contro dei pali metallici per generare un forte rumore; questo confonde i cetacei, che vengono così catturati con reti o altri strumenti e trascinati a riva. Lì vengono uccisi per poi venderne la carne o presi in cattività per rivenderli a peso d’oro (le cifre possono raggiungere l’equivalente di 50.000 euro) a delfinari e acquari.

La lotta delle associazioni

caccia al delfino

Proliferano le associazioni impegnate nella lotta a questa pratica (citiamo la californiana Dolphin Project e la Whale and Dolphin Conservation del Regno Unito); le motivazioni, al di là delle personali opinioni di ogni individuo, sono chiare e oggettive. I mammiferi, a differenza dei pesci, si riproducono molto più lentamente e stermini simili mettono seriamente in pericolo gli ecosistemi, minacciati inoltre dalla scomparsa di superpredatori come, appunto, i delfini.

L’orrore a casa degli altri

L’Occidente condanna da decenni questa pratica, su cui nel 2009 è uscito il film The Cove – La baia dove muoiono i delfini. Ci vien da dire che oggi non è più necessario (se mai lo è stato) nutrirsi della carne di questi mammiferi e pesci per sopravvivere, ma il Giappone (non tutto, attenzione: anche internamente si agitano delle ondate di protesta) ribatte dicendo che in tutto il mondo viene uccisa (leggasi massacrata) una quantità di gran lunga superiore di polli, mucche, maiali. Vero? Come no.

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Soprattutto in quelle fabbriche di morte chiamate allevamenti intensivi, dove gli animali sono sottoposti a condizioni igienico-sanitarie raccapriccianti, che ledono il rispetto della vita animale e la salute umana (ma su questo ci ha abbondantemente illuminati il documentario Food for Profit). Un parallelo ancora più calzante si può tracciare tra la caccia ai delfini e la mattanza, tradizionale e massacrante pesca dei tonni rossi nata nei nostri italianissimi mari.

La caccia ai delfini non è da condannare, quindi? Certo che sì, almeno agli occhi della sottoscritta. Ma non dimentichiamoci, prima di criticare oltreoceano, di guardarci l’ombelico.