Non è evidentemente il tempo delle pere. Stando al più recente rapporto di Nomisma, realizzato per Alleanza Cooperative Agroalimentari, nell’anno in corso la produzione di questo particolare frutto è calata addirittura del 75% rispetto a quanto fatto registrare appena cinque anni fa, nel 2018. Un raccolto mutilato per tre quarti a cui, è bene sottolinearlo, si accompagna una contrazione delle superfici coltivate, che in dodici anni sono di fatto scese del 35%.
I numeri, come al solito, parlano chiaro: dodici anni fa il nostro caro e vecchio Stivale produceva 926 mila tonnellate di pere mentre, considerando i dati di quest’anno, la produzione nazionale si è arenata su di un umilissimo 180 mila tonnellate. Una crisi che ha colpito soprattutto le frange settentrionali del Paese – Emilia-Romagna, Veneto, Piemonte, Lombardia e Friuli-Venezia Giulia da sole detengono il 74% delle superfici -, e che non può che fa sorgere una domanda: ma che è successo?
Le cause dietro il crollo della produzione di pere
La matrice della mutilazione è – ovviamente – di natura climatica. D’altro canto pare ormai perfettamente scontato che il settore primario nella sua interezza, compresa anche e soprattutto la viticoltura (basti dare una rapida occhiata ai dati inerenti all’ultima vendemmia, una delle peggiori di sempre per il vigneto italiano), debba e dovrà confrontarsi con sempre più decisione con l’imperversare di ghiaccio e fuoco, la furia del cambiamento climatico.
Sono numerose, in questo senso le “calamità” che il rapporto in questione va a citare in riferimento al calo produttivo di pere: l’invasione della cimice asiatica nel 2019, le gelate tardive del 2021, il lungo periodo siccitoso che ha macchiato il 2022 in quasi la sua interezza e, nell’anno in corso, ancora l’effetto delle gelate tardive (reso naturalmente tanto più mordace dalle temperature insolitamente alte durante il periodo invernale) e i danni dell’alluvione in Romagna.
“Se negli anni addietro i nostri problemi erano il mercato e l’apertura di nuovi sbocchi commerciali, quest’anno purtroppo non siamo proprio riusciti a produrre” ha commentato Davide Vernocchi, coordinatore ortofrutta di Alleanza Cooperative. La naturale conseguenza di un tale ridimensionamento nella produzione nazionale di pere è quella di un aumento delle importazioni per soddisfare la domanda.
“Il rischio fin troppo evidente è quello di veder aumentare il ricorso alle importazioni” ha spiegato a tal proposito il presidente di Alleanza Cooperative Agroalimentari Carlo Piccinini. “Nel 2018 la bilancia commerciale era in attivo (+92mila tonnellate), a fine 2022 il saldo tra import ed export è passato in negativo (- 48mila). Mentre le esportazioni di pere hanno avuto un drammatico calo in volume (-62% dal 2018 al 2022), le importazioni da Olanda, Spagna, Argentina, ma anche Cile e Sud Africa, hanno registrato nello stesso periodo un incremento in volume del 70%”.
E gli aiuti del governo? “I 10 milioni stanziati dal Ministro Lollobrigida – ha dichiarato il presidente Vernocchi – sono un primo passo, ma non sufficiente a coprire le perdite. Sulla base delle nostre stime, l’indennizzo per ogni produttore sarebbe pari a meno di 1.000 euro per ettaro, una cifra che non coprirebbe neanche il forte incremento dei costi di produzione, che quest’anno è stato di circa 5.000 euro per ettaro”.