Gli allevamenti italiani sono i più sostenibili al pianeta, e guai a dire il contrario. Parola del ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, che coglie l’occasione per invitare la televisione di Stato a ricordarlo. E se lo dice lui non possiamo che fidarci: un San Francesco del XXI secolo, pioniere della più raffinata tecnica di verifica del benessere animale – parlare direttamente con le mucche per una testimonianza diretta.
Il palco è quello del Meeting di Rimini, il discorso in tavola è quella pericolosa deriva che porta ad “affrontare i temi in termini ideologici“, come spiega il nostro protagonista. L’occasione, dicevamo, è matura per difendere gli allevamenti; e invitare la TV di Stato a seguire lo stesso copione.
L’intervento di Lollobrigida e la sensazione di déjà vu
Le parole del ministro, almeno in nero su bianco, possono sembrare condivisibili: “Quando si parla della differenza tra allevamenti, intensivi ed estensivi, si deve chiedere al cittadino se è disposto a pagare il prodotto 10, 20, 30 volte di più di quanto lo paga adesso” ha spiegato Lollobrigida. E se la risposta è no?
Beh, in tal caso il cittadino in questione “deve sapere che non comprerà più il prodotto a basso costo o a costo equo, proveniente dai nostri allevamenti, ma lo comprerà da allevamenti di altri continenti che impattano sull’ambiente e sul benessere animale 10, 20, 30 volte più di quanto fa un nostro allevamento”.
Ripetiamo per chi si era seduto in fondo: il discorso, se ragionato per massimi sistemi, non è necessariamente sbagliato: la qualità costa e si paga, e la produzione massiva degli stabilimenti intensivi permette di “evadere” questo ostacolo (e con esso le più naturali leggi di moralità ed etica). Peccato che queste idee, al confronto con la realtà, cadano come castelli di carte.
I più recenti servizi di Giulia Innocenzi hanno eloquentemente mostrato come la violenza e la brutalità siano di casa anche nei virtuosissimi allevamenti italiani, e come lo siano state (e continueranno a esserlo, con ogni probabilità) per molto tempo. E la faccenda della qualità?
Anche in questo caso cronaca e numeri raccontano di una storia che si allontana dalla traiettoria ideale tracciata dalle parole di Lollobrigida. Prendiamo l’esempio della Chianina, attanagliata da una “continua e progressiva emorragia di aziende”; o al fatto che quasi la totalità dei nostri polli sono Broiler: carne coltivata no, ma polli deformi sì, per favore.
Torniamo dunque a noi, e alle parole di Lollobrigida. Se pensate che l’invito alla televisione di Stato a ricordare la presunta sostenibilità degli allevamenti abbia il sapore del “già visto” siete sulla strada giusta: ricordiamo quando, all’indomani di un servizio di Report sul vino, ventilò la sua incredulità nello scoprire di avere un “nemico – la televisione pubblica, per l’appunto – in casa” (incredulità poi, almeno parzialmente, rettificata); o ancora quando definì il contenuto di Food For Profit una “criminalizzazione generalizzata dei nostri allevatori“, chiedendosi “se sia utile sulla Tv di Stato che le nostre produzioni agricole siano fatte passare continuamente come frutto di pratiche nocive”.
Attenzione, però: ci sono anche “istruzioni”, se così vogliamo definirle, su cosa “non dire”. Basta un rapido sguardo alla bacheca social del ministro per adocchiare un lungo post dedicato alla fine del suo matrimonio con Arianna Meloni, sorella di Giorgia, in cui Lollobrigida invita stampa e media a non ficcanasare troppo. Di nuovo, il suo punto di vista è (almeno. o anche) condivisibile: per un governo che si riempie la bocca di retorica sulla famiglia tradizionale, però…