Siamo certi che ci sarà una frangia, anche piuttosto nutrita, di ligi puristi del mondo del vino che solo a leggere il titolo avranno gridato alla lesa maestà. Non fraintendeteci: di solito ci piace prenderci gioco – bonariamente, beninteso – di chi fa della rigidità una questione di gusto e del gusto una questione di rigidità, ma in questa occasione dobbiamo riconoscere che il vino in lattina rappresenta anche e soprattutto un rischio per le indicazioni geografiche nostrane, costrette al consueto abito in vetro.
C’è poi la questione della qualità percepita – la lattina invita alla bibita o piuttosto alla birra da discount. Il vino merita di più? Forse – ma d’altro canto bisogna anche riconoscere che prendersi gioco dei parrucconi difensori della tradizione è divertente. E il futuro, numeri alla mano, indica che il “prendersi gioco” andrà sempre più di moda.
Vino in lattina: uno sguardo al futuro (e ai numeri)
A onore del vero è bene notare che il vino in lattina, al di là della sua concezione pioneristica, è tutto fuorché una novità. Da tempo va forte nella terra a stelle e strisce e da altrettanto tempo fa storcere il naso ai puristi, e dalla sua ha la semplicità di consumo, il prezzo tendenzialmente contenuto e la sostenibilità.
Diamo un’occhiata ai numeri, dunque. Stando a un recente rapporto di Straits Research si stima che il segmento di mercato nel 2021 abbia messo a segno un valore complessivo di 241 milioni di dollari e che nel relativamente vicino 2030 potrebbe arrivare a superare i 725, forte di una crescita su base annua del 13%.
Una crescita fomentata anche e soprattutto dalla parolina magica che i nostri lettori più attenti avranno individuato nelle righe precedenti – “sostenibilità”. Prendiamo l’esempio di Waitrose, colosso della grande distribuzione in quel d’Oltremanica, che a partire dal 15 gennaio andrà a sostituire tutti i format di vino più piccoli per fare spazio alle lattine. L’obiettivo? Tagliare la propria impronta di carbonio.
E gli esempi, è bene notarlo, non si limitano al circuito della GDO. Come riportano i colleghi di Wine News alcuni dei nomi più importanti della critica, come Jancis Robinson e Hugh Johnson, hanno sottoscritto un appello “affinchè l’industria del vino utilizzi sempre meno vetro e sempre più contenitori alternativi più leggeri, e quindi capaci di produrre meno Co2 soprattutto nei trasporti”. La lattina, ancora una volta, si presenta come soluzione comoda ed efficace.
In tutto questo, naturalmente, c’è un grosso “ma”; e cioè che il vino esiste sugli scaffali per essere venduto, e che la lattina – per quanto, lo ripetiamo, virtuosa per comodità ed economicità e convenienza – rischia di allontanare potenziali consumatori.
Questione di classismo o frutto di una vicinanza tematica con la bassa qualità? Ai posteri l’ardua sentenza – quel che ci interessa prendere in esame è quanto emerso da un sondaggio condotto dall’Istituto Ehrenberg-Bass per la Fondazione Wolf Blass e poi riportato da The Drinks Business, che piazza la lattina come il formato “meno preferito” da parte dei consumatori. La nostra previsione? Il vino in lattina crescerà, evidentemente anche forte della tendenza che premia le etichette senza alcol o a basso contenuto, ma eventualmente si arenerà in una nicchia di competenza.