Innovarsi, adattarsi, (re)inventarsi – difficile immaginare un futuro per il mondo del vino che non passi obbligatoriamente attraverso almeno uno di questi termini. A incombere sul settore enologico è anche e soprattutto la lunga ombra del cambiamento climatico, minaccia democratica che nel corso degli ultimi anni si è già più volte palesata mutilando vendemmie e raccolti. Non è un caso, d’altro canto, che il 2023 è ormai destinato a passare alla storia come uno dei peggiori di sempre per quanto concerne il vino italiano (almeno, è bene notarlo, a livello quantitativo), con rese decimate dall’azione della peronospora.
Eppure, numeri alla mano, il futuro del vino pare luminoso. A oggi il settore ha un valore di oltre 300 miliardi di dollari (dati provenienti dalla ricerca Il business vitivinicolo in Italia: consumi, trend e prospettive di crescita, pubblicata da Rome Business School) e con una crescita del 23,9% all’anno nei prossimi quattro anni dovrebbe toccare i 412,9 miliardi nel 2027. Il campo di gioco, in altre parole, è fertile e ricco: riuscirà, però, il vino italiano a sfruttare questa opportunità di crescita?
Il vino italiano tra turismo e biologico
La risposta è più semplice di quanto potrebbe sembrare – sì, naturalmente; ma a patto che sappia interpretare al meglio le correnti di mercato e al contempo rispettare la necessità di innovazione. A oggi, il vino italiano è protagonista di un mercato che, in termini di valore, supera i 10 miliardi di dollari (FederDoc, dati aggiornati a marzo 2023) e rappresenta il 17% della produzione globale, con 7,8 miliardi di euro legati solamente al flusso di esportazione.
Non è tutto rose e fiori, però. Stando ai più recenti rapporti dell’Osservatorio Uiv (ottobre 2023), infatti, nel corso degli ultimi quattro mesi gli Stati Uniti (migliori amici delle etichette dello Stivale, è bene notarlo) hanno visto un calo degli acquisti addirittura del 16% per gli spumanti; con altri importanti mercati di riferimento (Cina, Canada, Svizzera e Regno Unito) che hanno a loro volta fatto registrare un calo degli acquisti di tutti i vini (rispettivamente del 27, 20, 10 e 3 per cento).
Sintomo che, come abbiamo accennato qualche riga fa, per sfruttare l’opportunità di crescita organica del mercato pare imperativo sviluppare un piano di azione strategico. Due i pilastri individuati dallo studio citato in apertura di articolo: il vino biologico e il turismo.
I consumatori italiani hanno sviluppato un occhio di riguardo alle pratiche sostenibili (tant’è che nove su dieci preferiscono un packaging sostenibile), alla difesa della biodiversità con attenzione alle varietà autoctone e alla riscoperta di antiche vigne; e soprattutto vivono un interesse per i vini biologici (il 30% delle persone, secondo PwC, 2023).
Il turismo è invece un fenomeno già ampliamente penetrato nell’universo del vino italiano. I ricavi dei servizi di eno-turisitici sono cresciuti del 67% rispetto al 2021, con le visite in cantina che si qualificano come il servizio più richiesto, rappresentando il 78,8% del totale. A oggi, il turismo enologico contribuisce quasi al 20% del fatturato complessivo del settore; e appena il 17,5% delle aziende non ha offerto alcun servizio eno-turistico.
Per quanto questa ultima strada potrebbe apparire scintillante, è tuttavia bene notare che porta con sé i detriti che spesso contraddistinguono il mondo del turismo – aumento generalizzato dei prezzi, proliferare di posizioni lavorative a basso reddito e bassa specializzazione, gentrificazione anche e soprattutto nelle campagne.
“È urgente sviluppare una visione strategica a lungo termine per il settore vitivinicolo italiano nei prossimi 10 anni” ha spiegato Valerio Mancini, direttore del Centro di Ricerca di Rome Business School. Questa strategia dovrebbe abbracciare diversi modelli di produzione vitivinicola, promuovendo la sostenibilità in termini ambientali, economici e sociali. Sarà essenziale adottare misure di supporto regolamentari ed economiche mirate per sfruttare appieno le opportunità offerte dai vari territori, adattandosi alle circostanze in evoluzione e ai diversi modelli produttivi. Questa prospettiva fornirà una base solida per la crescita sostenibile dell’industria vinicola italiana”.