Il Regno Unito vince la corsa europea alla carne coltivata, ma c’è un “ma”: Il pollice in su dell’Agenzia per la salute degli animali e delle piante e il Dipartimento per l’ambiente ai prodotti a marchio Meatly, infatti, riguarda solamente gli alimenti per animali domestici.
In altre parole sarà necessario pazientare ancora un poco prima di assistere a un debutto nella grande distribuzione, come invece è già realtà in quel di Singapore. Anche compiuta questa doverosa puntualizzazione, però, resta il fatto che con questa novità il Regno Unito scatta a occupare una posizione assolutamente pionieristica nel contesto europeo, potenzialmente innescando un nuovo e fertile capitolo nel dibattito che circonda questa particolare declinazione dell’industria alimentare.
Ma la carne coltivata per animali funzionerà?
I dati fanno presagire un “sì” deciso. Uno studio dell’Università di Winchester ha rilevato che il 50% dei proprietari di animali domestici intervistati darebbe da mangiare ai propri animali carne coltivata: la lettura proposta dagli scienziati è che un prodotto come il pollo coltivato a marchio Meatly possa rappresentare una soluzione pratica per chi, per riserve morali, non è proprio agio con il nutrire i propri animali domestici con carne proveniente da bestiame macellato.
L’occasione ci pare matura per ricordare che i prodotti in questione cadono sotto la categorizzazione di carne coltivata, e non – come insistono certe frange propagandistiche – sintetica: si tratta di prodotti coltivati in laboratorio a partire da un campione di cellule animali, evadendo – tra le altre cose – la necessità di macellare li stessi. Sintetica, semmai, può essere la plastica.
Ma torniamo a noi: l’impianto di produzione di Meatly, come accennato in apertura di articolo, è stato ispezionato dalle autorità governative competenti e successivamente approvato dalle stesse. Il piano dell’azienda, stando a quanto lasciato trapelare, è quello di riuscire a lanciare i primi prodotti per animali domestici già entro la fine dell’anno.
I prossimi step comprendono il concentrarsi sulla riduzione dei costi (che verrà verosimilmente ottenuta mischiando il pollo coltivato con delle verdure) e il ricalibrare la produzione così da raggiungere volumi propriamente industriali entro i prossimi tre anni.
È inevitabile tracciare un parallelo con quella che, invece, è la situazione italiana: l’impressione è che lo Stivale si sia sabotato da sé in maniera reazionaria e miope, uccidendo sul nascere una filiera – quella della carne coltivata, per l’appunto – che avrebbe potuto rappresentare una potenziale eccellenza a livello internazionale, spingendo il tanto caro Made in Italy anche come pioniere dell’innovazione.