Raccolto che vuoi, parassita che trovi: mentre tra le vigne continua a serpeggiare la silenziosa minaccia della peronospora, i campi di patate sono alle prese con i cosiddetti “vermi” – o elateridi, se preferite il nome scientifico -, la cui infestazione, avvisano gli esperti, sta di fatto crescendo in maniera esponenziale. I numeri, d’altro canto, parlano chiaro: Augusto Di Silvio, presidente Unapa (Unione nazionale associazioni dei produttori di patate), ha spiegato che lo scorso anno il bolognese si è trovato a “sanguinare” il 30% del raccolto, “e quest’anno le perdite saranno maggiori”.
Non è tutta una questione di parassiti, però. C’è anche una seconda, ingombrante variabile da prendere in considerazione – quella del maltempo, delle piogge abbondanti che, nel caso della Romagna (una delle più importanti zone di produzione di patate del nostro caro e vecchio Stivale) hanno notoriamente assunto i spaventosi connotati dell’alluvione.
Patate tra parassiti e alluvioni: che succederà al raccolto?
Le carte in tavola, in altre parole, fanno presagire a un raccolto debole o comunque indebolito rispetto alla produttività media. A onore del vero è bene notare che i dati definitivi della campagna in corso non si conosceranno prima della metà di ottobre, ma lo stesso Di Silvio non ha esitato a stimare un taglio “dal 20 al 25% del raccolto, anche se fortunatamente la qualità sembra buona seppur con calibri più piccoli”.
Parassiti e acqua, dicevamo, sono i primi nomi sulla lista degli indiziati: i primi “aiutati” dal “divieto all’uso di alcune sostanze chimiche nei campi”, spiega Di Silvio (cos’è più pericoloso – il verme nella mela o il veleno che lo uccide?); la seconda che ha causato ritardi anche ingenti nelle semine andando così a colpire inevitabilmente la qualità e la quantità del raccolto di patate.
Difficile, però, parlare di fulmine a ciel sereno. Già nel 2022, si legge nei rapporti redatti da Ismea, la produzione complessiva di patate comuni aveva subito una flessione del 5%; ed è altrettanto bene ricordare che nel corso degli ultimi decenni il nostro caro e vecchio Stivali ha perso molti degli ettari dedicati a questa particolare coltura.
La formula delle conseguenze è semplice: è aumentata (e aumenterà) la parte del fabbisogno nazionale soddisfatto dall’import (+34%), mentre per le sole patate fresche la bilancia commerciale segna un rosso di -139 milioni di euro (dai -84 fatti registrare nell’ormai lontano 2015). Discorso analogo anche per le patate trasformate, passate da -289 milioni a -484.
Aumentano, nel frattempo, i costi di produzione e i prezzi al consumo: facendo di nuovo riferimento allo scorso anno, l’indice dei prezzi all’origine ha fatto registrare un +22% a fronte però di un +32% registrato dall’indice dei mezzi di produzione.
“I costi energetici e del carburante hanno fatto lievitare molto le spese sostenute dagli agricoltori” ha commentato a tal proposito il presidente Unapa. “Fa piacere che dopo un periodo di calo negli consumi negli ultimi anni la domanda si sia stabilizzata, tuttavia non importa quanto possano salire i prezzi: se il rischio è perdere il raccolto e il relativo investimento, i coltivatori preferiranno non piantare più patate ma passare ad altre colture”.