Uno spiraglio legislativo che potrebbe tradursi in un nuovo, importante capitolo per la genetica agraria in Italia. Ve la facciamo breve: un team dell’Università di Milano di Vittoria Brambilla è di fatto diventato il primo gruppo di ricerca del nostro caro e vecchio Stivale a presentare una domanda di autorizzazione per la sperimentazione in campo aperto con piante editate geneticamente.
La prova, a onore del vero, è sotto gli occhi di tutti: basta dare un’occhiata al database pubblico ove sono raccolte le proposte di stampo simile per trovare la domanda in questione. Il nostro protagonista, stando a quanto riportato dalla rivista Nature, è una varietà di riso dovutamente modificata affinché sia resistente a una malattia causata da un particolare fungo.
Tra lavoro all’aria aperta ed editing genetico
È bene costruire un poco di contesto, prima di addentrarsi nei particolari: vi segnaliamo, prima di tutto, che è dall’inizio del nuovo millennio che le sperimentazioni in campo aperto di piante geneticamente modificate o editate sono formalmente bloccate nel nostro Paese a causa di una rigida interpretazione delle normative europee. L’introduzione di un regime di autorizzazione temporanea fino al 2024, tuttavia, potrebbe portare a una distensione che a sua volta potrebbe innescare l’inizio di un nuovo capitolo per la ricerca italiana in questo particolare ambito.
Regime di autorizzazione che, di fatto, è stato introdotto per fare da ponte fino a quando non sarà ultimata la revisione del quadro normativo comunitario riguardante le piante geneticamente modificate. Si tratta, in altre parole, di un “cerotto” che offre un più ampio spazio di manovra; e che pone come obiettivo il rendere più snello lo studio e la coltivazione commerciale di alcune varietà (purché queste ultime siano equivalenti ai colleghi “convenzionali”).
Burocrazia – e scienza – alla mano, il riso del team di Brambilla dovrebbe rientrare nella categoria NGT-1, forte di vincoli normativi più “rilassati” rispetto agli OGM, e impiegare le cosiddette TEA (Tecniche di Evoluzione Assistita), ossia tecniche che consentono di modificare il DNA delle piante editando il genoma e senza andare a inserire altri elementi genetici esterni (questa, è bene notarlo, è la differenza fondamentale con gli OGM).
Il team di Brambilla ha effettuato tre delezioni nelle sequenze codificanti di tre geni (Pi21, HMA1 e HMA2) che influenzano la suscettibilità del riso al fungo responsabile del brusone del riso, e osservato che, durante i test in laboratorio, le piante con i tre geni “spenti” hanno fatto registrare un numero inferiore di lesioni causate dalla malattia. Ora, per proseguire con la ricerca, è tuttavia necessario effettuare i test all’aperto.
La domanda, l’abbiamo accennato in apertura di articolo, è stata presentata: ora la palla è nella metà campo dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA), che dovrà decidere se autorizzare o meno la sperimentazione all’aperto. Il sito scelto è un’azienda agricola vicino a Pavia, in Lombardia, all’interno di un appezzamento di 28 m2, inserito in un campo di 400 metri quadri.
“Il brusone del riso è una malattia devastante a livello globale, per la quale esiste solo un numero limitato di agrofarmaci con rilevante impatto ecologico”, ha spiegato Brambilla. “Avere cultivar resistenti sarebbe vantaggioso sia per i coltivatori che per l’ambiente”. Nel frattempo non resta che attendere.