Che cos’hanno in comune un pomodorino e un’arancia? Semplice – entrambi sono di recente diventati Presidi Slow Food! Un ambo notevole quello della Regione Calabria, che porta all’attenzione del mondo enogastronomico il pomodorino siccagno di Zagarise e l’arancia belladonna di San Giuseppe – due specialità che saranno presentate a Terra Madre Salone del Gusto, a Torino dal 22 al 26 settembre; rispettivamente il 24 settembre alle ore 12 e il 23 settembre alle ore 11:30 presso lo stand regionale.
La cosiddetta coltivazione seccagna è quella che non richiede irrigazioni di alcun tipo – una pratica che di fatto costituisce il cuore attorno al quale si sviluppa il segreto del pomodorino siccagno di Zagarise, una varietà che si distingue per il suo fabbisogno idrico infinitamente ridotto rispetto agli suoi cugini che punteggiano le campagne dello Stivale. “Se le piantine vengono trapiantate ad aprile, grazie alle due o tre normali precipitazioni nella stagione estiva il nostro pomodoro riesce a crescere e a dare frutti” spiega a tal proposito Luigi Mangone, referente dei quattro produttori che a oggi aderiscono al Presidio. Una magia? Macché, si tratta del frutto di un lungo processo di selezione operata dai contadini, che anno dopo anno ha portato a favorire le piantine più resistenti fino a creare una stirpe che eccelle per le doti di sopportazione della carenza idrica.
Il risultato è frutti relativamente piccini – basti pensare che pesano in media tra i 40 e i 60 grammi, mentre la pianta stessa difficilmente raggiunge il metro di altezza – ma dal gusto incredibilmente intenso, tanto che si usa mangiarli anche senza sale. “C’è chi ne fa conserva, chi i pelati o i filetti senza buccia” continua Mangone. “Alcuni preferiscono far essiccare i pomodorini, altri li utilizzano per u salaturu, una salamoia con pomodori, olive e peperoni verdi, aglio e finocchietto”.
Spostandoci centoventi chilometri più a sud, invece, incappiamo nel territorio dell’arancia belladonna, nella razione di Villa San Giuseppe del Comune di Reggio Calabria. In questo caso il suo nome è tuttora avvolto nel mistero, ma le caratteristiche sono invece decisamente ben conosciute (e apprezzate): si tratta infatti di una varietà di arance tardive, che giungono a maturazione tra aprile e maggio, con forma ovoidale e buccia sottile; la polpa bionda e ricca di succo. La gestione degli aranceti avveniva in colonìa, cioè con la concessione dei terreni da parte dei grossi proprietari terrieri ai coloni, che lavoravano negli appezzamenti. Il superamento di questo modello, la conseguente frammentazione della proprietà, la sostituzione della belladonna con varietà commercialmente più popolari e precoci come l’arancia tarocco, e anche il progressivo abbandono dell’agricoltura in favore di altri mestieri hanno contribuito alla perdita della belladonna.
“È un peccato, anche perché anticamente l’arancia belladonna veniva esportata ovunque, sia in Italia sia all’estero” commenta a tal proposito Franco Saccà, referente Slow Food del Presidio. “Si dice addirittura che fosse sulla tavola degli Zar di Russia. L’abitudine a esportare queste arance era così consolidata che ancora oggi si usa misurare il raccolto in “vagoni”, cioè nei carichi che un tempo partivano dalle stazioni ferroviarie delle località di Gallico e Catona, pari a 300 quintali”. A oggi la coltivazione della belladonna ha cessato di essere remunerativa, e i costi di produzione vengono recuperati con grande difficoltà: il Presidio Slow Food, in questo contesto, nasce per difenderla dall’estinzione e promuoverne la conoscenza e lo sviluppo commerciale – una missione, che di fatto, condivide con tutti gli altri oltre 360 casi in giro per l’Italia.