Da una popolazione complessiva di cinquanta esemplari a Presidio Slow Food – la storia del pollo Romagnolo, rustico amante dell’aria aperta dalla livrea variopinta, è una di quelle di cauto equilibrio e di lungimirante iniziativa. D’altro basta tornare indietro di un paio di decenni per scoprire, come appena accennato, che ne erano rimasti appena cinquanta – tutti di proprietà di un anziano allevatore in provincia di Ravenna.
Siamo nel 1997. Dando prova di una spiccata lungimiranza, il nostro protagonista decide di mettere i suoi polli Romagnoli a disposizione della facoltà di Veterinaria dell’Università di Parma affinché venisse avviato un programma di conservazione e ripopolamento della razza. Un gesto che ha, come si suol dire, innescato una piccola valanga di conseguenze – una valanga che si è oggi conclusa con il riconoscimento come Presidio Slow Food.
Tutto quello che c’è da sapere sul pollo Romagnolo
Per conoscere meglio il nuovo Presidio Slow Food basta affidarsi a una manciata di parole di Lia Cortesi, suo responsabile per Slow Food. “Una razza rustica, che ama stare all’aperto, razzolare liberamente”. Fino alla metà dello scorso secolo il pollo Romagnolo era diffuso in tutta l’area delle odierne province di Ravenna, Forlì-Cesena e Rimini; ed era particolarmente apprezzato per la sua triplice attitudine: la produzione delle uova, naturalmente, ingrediente che è pietra angolare della tradizione gastronomica locale; poi per la carne e infine come ornamento dell’aia.
Come certamente avrete intuito, tuttavia, il pollo Romagnolo ha vissuto anche anni difficili – una caratteristica, questa, che di fatto lega un po’ tutti i Presidi Slow Food. Nel periodo del secondo dopoguerra, infatti, , proprio la caratteristica che più lo contraddistingue – il bisogno di ampio spazio per procurarsi il cibo raspando tra i ciuffi d’erba e beccando le granaglie avanzate dalla mietitura – ne ha sancito la pressoché totale scomparsa: garantirgli lo spazio all’aperto è diventato, per chi ha preferito adottare un approccio industriale e intensivo all’allevamento, sconveniente e poco redditizio.
La peculiarità del pollo Romagnolo si è scontrata, in altre parole, con la dura legge del numero. Ancora peggio, il nostro protagonista è relativamente lento a crescere, tanto che in genere impiega un periodo di sei-otto mesi per raggiungere la massa che le razze commerciali toccano in cinquanta o sessanta giorni (paragone che, se non altro, dovrebbe fare sorgere domande sull’aspetto etico della filiera moderna).
La scintilla che ha reso possibile il recupero, dicevamo, è scattata nel 1997. “Oggi possiamo stimare tra i 500 e i 600 riproduttori negli allevamenti della Romagna” ha spiegato Alessio Zanon, presidente della Associazione razze autoctone a rischio di estinzione, che si è occupato anche del pollo Romagnolo. A oggi gli allevatori professionali che aderiscono al Presidio Slow Food sono tre, a cui si aggiungono gli allevatori amatoriali di pollo Romagnolo membri dell’Associazione razze e varietà autoctone romagnole (Arvar).
“Questo Presidio Slow Food ha un che di sentimentale” ha concluso Cortesi “e lo riteniamo importante perché è un esempio di allevamento virtuoso: esortiamo spesso a mangiare meno carne e a mangiarla di qualità, e questo vale anche per il settore avicolo. Quando sento dire indiscriminatamente che il pollo “è sano”, faccio presente che negli allevamenti industriali spesso vengono somministrati antibiotici agli animali e il benessere si misura esclusivamente nel numero di animali per metro quadro. C’è pollo e pollo, insomma, e dobbiamo educarci alla scelta”.