Vivo in una città italiana medio-grande, medio-grande rispetto all’Italia che è paese di città piccole. Dunque un posto piuttosto moderno, con il car sharing, il politecnico, la fibra e persino una striminzita linea di metropolitana.
Dunque oggi passeggio nella mia città medio-grande piuttosto-moderna e a un tratto alle mie spalle, potente di un milione di decibel, sento una voce che grida “L’uomo dalla Calabria vi ha portato i cachi, le arance, le clementine calabresi buonissime! Le arance a soli tre euro la cassetta! Le clementine di Calabria! Donneeee!”
Mi volto e c’è un camion carico di cassette che annuncia la propria mercanzia con il megafono sul tettuccio: dietro è tutto colmo di roba e si ferma al cenno d’una mano, come i taxi londinesi.
Lo spettacolo naturalmente non mi è nuovo: per gli italiani tutti –che siano di paese, di città piccole, medio-piccole o medio-grandi (quelle grandi in termini assoluti non esistono)– la vendita da furgone è un ricordo condiviso.
Eppure era tanto che non ne vedevo uno.
Invece oggi mi imbatto non in uno, ma in due camion che fanno questo tipo di vendita diretta che più diretta non si può.
La cosa la prima volta –sono a piedi– mi diverte e mi intenerisce: che forte, che cosa antica, che bella memoria.
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La seconda volta invece sono in macchina e uno di questi mi si ferma davanti e con la massima flemma scende per servire una signora anziana che non sa bene se prendere le clementine o le arance o le zucche, “ma le clementine sono buone posso assaggiarle?”
Dalla mia ira mentre attendo cinque minuti d’orologio che la madama scelga i frutti più dolci, traggo un insegnamento filosofico di grande saggezza: il passato è bello, ma non ci vivrei.