L’idea di “Chips” di formaggio sta per essere rivoluzionata, e noi non possiamo fare a meno di chiederci se gli amici che in tempi pandemici temevano il controllo mentale da parte di Bill Gates e compagnia bella d’ora in avanti non compreranno altro che Grana Padano. Ma andiamo con ordine: non è certo un mistero che il Parmigiano Reggiano sia una produzione particolarmente “cara” ai tentativi di contraffazione e maliziosa omonimia (d’altronde, solamente questa primavera vi raccontammo di come il Consorzio dovette difendersi dal cosiddetto “Parmesan” di Singapore – una goccia nell’oceano delle imitazioni).
I sosia dalle intenzioni più o meno limpide, tuttavia, dovranno d’ora in avanti misurarsi con una nuova arma a disposizione del Consorzio – dei microchip dalle dimensioni di un granello di sale edibili e dovutamente inseriti nella dura crosta del Parmigiano Reggiano.
Parmigiano Reggiano e microchip: l’ultima frontiera della difesa contro le imitazioni
Si tratta, in altre parole, di una sorta di “carta di identità” elettronica (o forse più banalmente come etichette alimentari) atta ad assicurare la legittimità delle forme di formaggio. Come abbiamo volutamente sottolineato in apertura di articolo, i microchip in questione sono sicuri al consumo e non costituiscono un problema qualora dovessero essere ingeriti, ma è altrettanto importante notare che è piuttosto improbabile che finiscano per essere mangiati considerando che si trovano nella crosta più esterna del Parmigiano Reggiano, tendenzialmente risparmiata anche dai più golosi.
I microchip in questione, che possono essere scansionati in modo tale da consentire ai consumatori di rintracciare l’origine del prodotto da loro acquistato, sono realizzati dalla società statunitense p-Chip Corporation e sono incorporati direttamente in un’etichetta con codice QR con un codice alfanumerico ricavato da una blockchain che, che per l’appunto, fungerà da “carta di identità”.
La lettura proposta dai produttori di Parmigiano Reggiano è che tale tecnologia sia ora necessaria in quanto il prodotto sta sperimentando una nuova crescita in export verso i mercati internazionali – un momento tanto fertile quanto delicato che necessita di cura e cautela e attenzione affinché la produzione italiana non rimanga nell’ombra delle contraffazioni. È infatti bene notare, a tal proposito, che lo status di DOP non è sempre riconosciuto al di fuori del Vecchio Continente – motivo in più per affrontare la crescita internazionale con le dovute precauzioni.
La digitalizzazione del processo di tracciabilità è stata progettata per “trasmettere il valore del nostro prodotto a livello globale e distinguerlo da prodotti simili presenti sul mercato che non soddisfano i nostri severi requisiti di produzione e area di origine”, ha spiegato a tal proposito il presidente del Consorzio del Parmigiano Reggiano, Nicola Bertinelli.