L’altra faccia della notorietà – una dimensione scomoda e dannatamente pruriginosa che, com’è comprensibile, diventa tanto tanto più risonante quando il nostro protagonista è anche e soprattutto reduce dal crollo di un impero di ristoranti (crollo che, a onore del vero, risale a ormai quasi cinque anni fa; ma che d’altro canto costituisce inevitabilmente un importante punto rosso nel resumé complessivo).
Parliamo di Jamie Oliver, naturalmente, e del suo nuovo ristorante – il Jamie Oliver Catherine Street, per l’appunto – aperto verso lo scadere dello scorso anno in quel di Londra. Un taglio del nastro naturalmente accompagnato e soprattutto preceduto da una rumorosa campagna mediatica e ora già bersagliato dai critici d’Oltremanica. Un piccolo spoiler: non tutte le recensioni sono positive, anzi.
Jamie Oliver a Londra: un’occhiata all’opinione dei critici
Un poco di contesto: il Jamie Oliver Catherine Street è nato, come vi raccontammo a tempo debito, con l’idea di avviare un progetto che consentisse allo chef britannico di tornare alle sue “radici culinarie” mettendo particolare enfasi ai prodotti e ai fornitori locali.
“Vogliamo che ogni singolo ospite si senta amato e accolto” aveva spiegato Oliver, prima dell’apertura “sapendo che potrà gustare cibo incredibile, preparato con i migliori ingredienti e servito in uno spazio invitante e confortevole”. Al netto di una retorica un po’ vista e stravista, ma comunque piuttosto valida, le premesse erano chiare. Un’occhiata ad alcune recensioni dei critici, tuttavia, ci fa pensare che non tutti si siano sentiti “amati e accolti”.
Basti dare un’occhiata alle pagine (digitali) dell’Evening Standard, dove il critico David Ellis ha assegnato al nuovo ristorante di Jamie Oliver un punteggio finale di appena due stelle. Tra i punti più caustici della recensione si nota la lentezza del servizio e l’aggettivo “macabro” per descrivere il cocktail di frutti di mare.
La recensione di Mina Holland per il The Guardian ha un’impronta più ottimista, concludendo che complessivamente, nonostante qualche manciata di difetti, c’erano “molte cose di cui essere allegri”. L’opinione di Chris Shaill, capo chef di Jamie Oliver Catherine Street, si innesta proprio su questa linea moderata.
Il ristorante, spiega Shaill, ha ancora bisogno di tempo per “trovare il suo ritmo”, e forse sarebbe stato più opportuno se i critici avessero atteso un poco in più prima di aprire il fuoco. “Stiamo migliorando sin dal primo giorno e miglioriamo ogni singolo giorno” ha spiegato, “quindi prendiamo le recensioni con le pinze. Sapevamo già che sarebbe successo qualcosa del genere”.
Il punto di vista di Shaill è condivisibile – aprire un nuovo ristorante recante il nome di Jamie Oliver avrebbe sempre e comunque comportato una pressione mediatica (e professionale, perché no) notevole, e piazzare il taglio del nastro a cavallo delle feste natalizie e di fine anno, periodo notoriamente intenso per il settore, non poteva che esacerbare il tutto.
Allo stesso tempo, ci pare giusto sottolineare come la richiesta di Shaill sia un po’ a metà strada tra il grossolano e l’assurdo: come si può chiedere di aspettare per andarci a mangiare e criticarlo? D’altronde pretendere che i critici rinunciassero a cogliere questa mela così matura significherebbe peccare un po’ di ingenuità: si tratta pur sempre, come dicevamo in apertura, dell’altra faccia della notorietà.si