Il ministro Lollobrigida si arrende al vino dealcolato, ma non del tutto

Il ministro Francesco Lollobrigida apre alla produzione di vino dealcolato in Italia. Attenzione, però: c'è un bel "ma".

Il ministro Lollobrigida si arrende al vino dealcolato, ma non del tutto

Concedeteci un poco di sorpresa. Dagli interventi del ministro Lollobrigida sul tema del vino dealcolato si poteva presagire che il suo “no” fosse anche e soprattutto una questione di principio: nel buttarla ostinatamente su di una questione di semantica (vino o non vino?), però, si rischiava di lasciare sul piatto un mercato in evidente fermento, forte di una crescita netta e promettente.

Ora la svolta. “Faremo produrre i dealcolati in Italia perché tutto il mondo del vino li vuole ed è d’accordo” ha annunciato nelle ultime ore, in occasione dei festeggiamenti per i primi 20 anni dell’istituto Grandi Marchi. Badate bene, però: c’è un “ma”. 

Lollobrigida non molla l’osso

vino

Tutto il mondo del vino li vuole, spiega Lollobrigida; e l’Italia, che com’è noto occupa una posizione di pieno rilievo in questo particolare universo, è chiamata ad allinearsi. Ma il ministro non molla l’osso: “Ma proverò a convincere tutti che questi prodotti non si possono chiamare vino“. Com’era la questione del lupo, del pelo e del vizio?

Ministro Lollobrigida, osteggiare il vino dealcolato conviene all’Italia? Ministro Lollobrigida, osteggiare il vino dealcolato conviene all’Italia?

Scherzi a parte, l’impegno del ministro nel mettere i proverbiali puntini sulle i è encomiabile. La sua lettura è puntuale e (forse fin troppo) diligente: “È l’Oiv, l’organizzazione internazionale della vigna e del vino, a definire il vino un prodotto che ha l’alcol“. Il dado è tratto: “Proverò a convincere tutti che si può fare una bevanda dealcolata e si può rinunciare a chiamarla vino”. Semantica, dicevamo.

Siamo certi che il vino dealcolato sia salutare? Siamo certi che il vino dealcolato sia salutare?

Non è chiaro come o perché la difesa del vino tradizionale debba necessariamente passare attraverso la nomenclatura di un prodotto che, di fatto, andrebbe a intercettare proprio chi vuole bere del vino, e non una qualsiasi bevanda, solo senza l’alcol.

Poi chiaro, una volta immesso sul mercato la competizione sarà naturale e forse addirittura necessaria: le nostre prove d’assaggio, però, hanno messo in evidenza chiaramente le differenze tra i “colleghi”, lasciando intendere che la presenza o assenza di una componente alcolica andrà a definirsi in maniera inequivocabile. Ci può essere spazio per entrambi, in altre parole.