Verrà un giorno, forse, in cui i tentativi di “tutela” o “promozione” della cucina italiana verranno smarcati dall’ingombrante paternalismo che la trascina verso la miope necessità di atteggiarsi come prima della classe, come cornucopia di savoir faire che, dall’alto della sua perfezione, dispensa generosamente pietà e insegnamenti a un mondo altrimenti primitivo. Sia ben chiaro – la nostra non è grossolana esterofilia, tutt’altro a dire il vero, ma alla luce delle più recenti dichiarazioni del ministro Francesco Lollobrigida, in questi giorni a New York per lanciare la candidatura della cucina nostrana a patrimonio immateriale dell’Unesco, la presunzione dei primi della classe ci pare forte come non mai.
Francesco Lollobrigida a New York: l’Italia può insegnare agli americani come mangiare
Prima un briciolo di contesto – l’idea di candidare la cucina italiana alla lista dei patrimoni culturali immateriali dell’Unesco ha già qualche mese sul groppone, a dire il vero: la candidatura è stata di fatto la protagonista a una serata organizzata dall’Ice al Gotham Hall della Grande Mela, con 150 ospiti che hanno cenato con un menu preparato da una schiera d’eccezione di stelle (in tutti i sensi) della ristorazione – Enrico Derflingher, Alessandro Borghese, Gianni Tarabini e Andrea Zanin.
Il tema è caldo ma anche – giustamente, nelle sue proporzioni – ambizioso: “Auspico che la candidatura all’Unesco renda la cucina italiana al pari di quella giapponese, francese e messicana che già hanno questo riconoscimento” ha commentato a tal proposito il nostro ministro dell’Agricoltura e della Sovranità Alimentare Francesco Lollobrigida. “Parte del pianeta pensa che la sicurezza alimentare si raggiunga dando cibo a tutti, noi pensiamo invece che bisogni dare buon cibo a tutti: sono due strade molto diverse, la prima porta alla standardizzazione dei prodotti, l’altra invece permette di tenere fermo l’elemento della qualità”.
E fin qui siamo (più o meno) tutti d’accordo. Lo scivolone – se così vogliamo definirlo: che a essere sinceri “scivolone” implica un seguente imbarazzamento, un tendenzialmente involontario incidente di percorso – arriva poco dopo, rivolgendosi agli americani per ricordare che, pur trattandosi di un popolo di grande valore, non devono insegnare a mangiare. Eh no, quella è materia nostra: siamo noi che “possiamo essere di aiuto agli amici americani insegnando loro a mangiare meglio e dando gli strumenti per capire qual è il valore della qualità”, prosegue Lollobrigida.
Vedere – ed esserne convinto – il mondo tinto dall’omogeneità degli stereotipi deve essere oggettivamente una grande comodità. Nessuno mette in discussione il valore della cucina italiana, la profondità della sua tradizione o la bontà dei suoi piatti: ma con la batosta recentemente rimediata a Valencia per The World’s 50 Best Restaurants 2023 e il resto del mondo – Stati Uniti compresi – involato verso la corsa per la carne coltivata, forse sarebbe il caso di abbassare un poco la cresta.