Il Ministero dell’agricoltura si è messo a diffidare i produttori di formaggi vegani

Lollobrigida contro caseificio vegano. La lotta per la preservazione della “tradizione gastronomica italica” passa anche per il formaggio.

Il Ministero dell’agricoltura si è messo a diffidare i produttori di formaggi vegani

Guai a chiamarlo formaggio: questo, in pratica, il monito del Ministero dell’Agricoltura a un caseificio di Bologna. Il motivo? Si tratta di un caseificio vegano, i cui  “formaggi” dunque non contengono né latte, né altro ingrediente di origine animale. Lo scorso 27 novembre il Ministero ha mandato una diffida per l’uso “improprio” e ambiguo della parola. Intimandone peraltro la rimozione seduta stante, pena ben 30mila euro di multa.

Il formaggio vegano

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Come altro definirlo se non formaggio? Questa deve essere la domanda che ronza da tre giorni nella testa di Barbara Ferrante, proprietaria del caseificio. L’azienda che porta il suo nome è un piccolo laboratorio artigianale plant-based a San Giovanni in Persiceto, provincia di Bologna. Conduzione familiare e produzioni modeste, tutte a partire da bevande vegetali di soia e mandorla. I prodotti hanno diversi aromi e consistenze, rivelandosi alternative valide e più sostenibili agli onnivori mozzarella (Pizzabella), caciotta (Vegotta), brie (Brioso).

Certo, nessuno fra la clientela del Caseificio Barbara Ferrante & C. si aspetta di trovare il classico prodotto coagulato, formato e stagionato da latte vaccino. L’etichetta parla chiaro, riportando la dicitura “alternativa vegetale al formaggio” e “alimento a base di bevanda di soia/mandorla”. Nessun dubbio dunque che si tratti di un caso di pubblicità ingannevole o peggio in malafede, tanto più che il prodotto è presente soprattutto online e difficilmente si trova nei banchi del supermercato mainstream.

A essere pignoli poi, potremmo far notare che l’etimo di formaggio deriva dal latino forma, e che in origine indicava un prodotto a partire da coagulo e reso solido in una qualche forma appunto. Ciò vale tanto per il latte vaccino tanto per quello di mandorla, just saying. Anche in questo caso è impossibile sbagliarsi, dall’etichetta al palato. Eppure il Ministero non vuol sentir parlare di formaggio vegano, e la questione si sta rapidamente trasformando in una causa di principio.

“È l’inizio di una battaglia”

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Il Masaf si appella alla legge, in particolare al Regolamento (UE) n. 1308/2013, secondo cui termini come “formaggio” sono legalmente riservati ai prodotti lattiero-caseari di origine animale. Per questo in Italia ed Europa vediamo girare prodotti che giocano sul termine, come fauxmage o fermaggio. Una normativa più o meno legittima (era stata spinta dalle grandi aziende di latticini per propria tutela contro un presunto competitor vegano che non era, né sarà mai all’altezza) che però a undici anni di distanza non sta in piedi. Perfino la FDA degli Stati Uniti (ed è tutto dire) ci è arrivata.

Anche perché sulla stessa scia dei nomi “ingannevoli”, la Corte Europea si è espressa in senso contrario giusto lo scorso ottobre. Ribattendo che lo stesso criterio non può applicarsi a termini come “burger” e “salsiccia” per definire alternative vegetali, di fatto vietando il divieto. Il problema però in Italia resta, con un Ministero sempre sul piede di guerra contro tutto ciò che non rispecchia una percepita “tradizione gastronomica italiana”. Nella diffida al caseificio vengono contestati anche i claim solo ingredienti di alta qualità e naturalmente senza colesterolo. Nessuno sconto, anzi una sanzione vertiginosa che sfiora i 30mila euro.

Dall’altra parte resta la percezione, assai più lucida, di un settore sistematicamente penalizzato. “Il mio avvocato mi ha consigliato di togliere tutto. Le sanzioni che mi minacciano sono troppo alte per la mia piccola attività” dice Barbara Ferrante. Che, nonostante la sconfitta, aggiunge: “Mi adeguerò alla legge, anche se ritengo che sia profondamente ingiusta. Questa diffida segna però l’inizio di una battaglia: non possiamo più tollerare che un settore etico e sostenibile venga costantemente penalizzato. La nostra stessa esistenza fa emergere contraddizioni insanabili all’interno di un modello produttivo che sopravvive unicamente grazie a un costante drenaggio, peraltro poco trasparente, di risorse pubbliche”. Della serie, non si può più dire niente. Neanche formaggio.