“Ccà nisciuno è fesso”, come recita un noto proverbio napoletano. Deve essere questo che ha pensato l’UE quando ha deciso di dare una stretta alla pratica del greenwashing messa in atto da diverse aziende. Per questo motivo ha deciso di dire basta alle indicazioni ingannevoli in etichetta.
Come farà l’UE a combattere il greenwashing?
L’UE è veramente stanca delle dichiarazioni ingannevoli di greenwashing delle aziende e lo scorso 19 settembre ha raggiunto un accordo in merito alla “Direttiva sulla responsabilizzazione dei consumatori per la transizione verde”.
Il greenswashing sappiamo tutti cosa sia. Si tratta di un finto ecologismo e ambientalismo di facciata e si riferisce a una particolare strategia di comunicazione messa in atto da certe aziende o anche gruppi politici che ha lo scopo di costruirsi un’immagine ingannevole e positiva dal punto di vista ambientale, in modo che l’utenza finale distolga lo sguardo dagli effetti negativi sull’ambiente relativi alle proprie attività.
Con la nuova normativa europea che entrerà in vigore nel 2026, ecco che le aziende non potranno più fare e scrivere affermazioni ambientali ingannevoli o di facciata in stile “carbon neutral”, “ecologico”, “biodegradabile” o “neutrale per il clima”. O meglio: potranno farlo, ma dovranno fornire prove reali di tali affermazioni, inclusi i programmi di compensazione delle emissioni.
Si parla del 2026 perché, prima di diventare legge, il Parlamento e il Consiglio dell’UE dovranno rendere ufficiale l’accordo, poi gli eurodeputati a novembre dovranno votare e infine gli Stati membri dell’UE avranno 24 mesi di tempo per adeguare le proprie leggi.
Nel frattempo la Beuc, l’Organizzazione europea dei consumatori, non dà tregua alle aziende e al Parlamento. E continua a ribadire come siano a dir poco “controversi” gli schemi di compensazione che le aziende millantano per eliminare la CO2, fra cui anche i vari progetti di riforestazione. La Beuc, infatti, ha ribadito che questo meccanidmo così sbandierato dalle aziende non offre nessuna “garanzia di immobilizzazione delle emissioni di carbonio per il futuro”.
Il perché viene usata dalle aziende è ovvio: è il mezzo più economico che possono usare per ridurre le emissioni.
Ursula Pachl, vice direttore generale di Beuc, ha parlato di una “giungla di dichiarazioni ecologiche” nella quale i consumatori rischiano di perdersi, senza sapere quali siano affidabili e quali no. Per Pachl è un’ottima idea quella di vietare le indicazioni sulla neutralità delle emissioni di anidride carbonica in etichetta visto che, tecnicamente, non esiste un prodotto alimentare dal punto di vista delle emissioni di CO2.
E sottolinea come queste presunte indicazioni sulla neutralità si configurino come vero e proprio greenwashing, una “cortina di fumo” che dà solo l’impressione che le aziende stiano facendo davvero qualcosa per limitare l’impatto climatico.