La vicenda del granchio blu è una che si merita almeno una breve introduzione – vogliamo dire, da dove arriva? E come mai è così pericoloso per la filiera adriatica? Domande legittime che meritano risposte semplici. Ve la facciamo breve – il granchio blu avrebbe fatto il suo ingresso nelle acque del Mar Adriatico, secondo quanto ricostruito dagli scienziati marini, intorno agli anni ‘80 grazie alle acque di zavorre delle navi provenienti dall’Atlantico. Forte della carenza di un antagonista naturale nel suo nuovo habitat e aiutata dalle conseguenze del cambiamento climatico, la popolazione adriatica si è fatta sempre più popolosa e aggressiva arrivando a minacciare gli allevamenti di vongole, cozze e ostriche.
Il granchio blu, il terrore dell’Adriatico
La tombola di Capodanno è ancora lontana, ma diamo un po’ di numeri: le stime più recenti parlano di danni superiori al 50% sulle produzioni delle specie appena citate, mentre l’aumento della popolazione locale di granchio blu si attesta sul 2000%. Le Regioni che si affacciano sull’Adriatico, Emilia Romagna e Veneto in primis, guardano alla situazione con cupo timore: le associazioni locali e nazionali degli itticoltori chiedono misure urgenti per arginare questa specie aliena e salvare le produzioni.
I nostri lettori più attenti si ricorderanno che di recente l’Emilia Romagna propose un articolo di legge che consentirebbe agli acquacoltori di tamponare la voracità della specie autorizzando il prelievo per autodifesa del granchio blu – una soluzione che, fondamentalmente, permetterebbe di trasformare un problema in risorsa. “Occorre consentire l’autodifesa, cioè il prelievo del granchio e la sua commercializzazione” ha commentato a tal proposito l’assessore regionale all’Agricoltura e alla pesca, Alessio Mammi.
È bene notare che il granchio blu è di fatto già commercializzato con il nome di Granchio Reale, e che l’obiettivo dell’iniziativa sarebbe quella di fare riconoscere la specie come “dannosa” ma non come “invasiva”, puntando infine al riconoscimento come “specie di interesse commerciale”, con tanto di inserimento nell’elenco approvato con Decreto Ministeriale che regola la materia, affiancando poi il tutto a una campagna di promozione al consumo così da incentivare la nascita di una vera e propria filiera.
C’è anche chi, tuttavia, punta a risposte ancora più radicali: il Distretto di pesca del Nord Adriatico, che di fatto riunisce le regioni più colpite, ha avanzato la richiesta di convocare un tavolo tecnico con urgenza al fine di dichiarare lo stato di calamità. “Non possiamo porre rimedio agli eventi climatici in atto, ma dobbiamo fare il possibile per contenere i danni” ha spiegato il vicepresidente Fedagripesca-Confcooperative, Paolo Tiozzo. “Occorre prendersi cura di laghi, lagune e stagni con interventi di manutenzione periodici, invece di inseguire sempre le emergenze”.