La passione della premier Giorgia Meloni per il caffè non è mai stata un mistero. Una passione travolgente, che l’ha portata ben oltre la sempiterna tazzina italiana, magari condivisa col Presidente del Senato La Russa, fino ai bazar di Istanbul per un robusto caffè turco, e pure sulle montagne della Val d’Aosta a sfidare la Grolla, il tipico “caffè dell’amicizia” locale, con generosa correzione di grappa e genepy per far fronte agli inverni montani. Non stupisce dunque che la nostra Presidente del Consiglio si prepari a una sfacchinata come quella richiesta dall’approvazione della manovra 2025 con 67mila e ottocento capsule di caffè, tutte rigorosamente Nespresso Professional.
Sovranità e caffè
Nel caso ve lo stiate chiedendo, si tratta di una speso di poco più di 21mila euro, un ordine decisamente sostanzioso che alla WeFor, azienda bergamasca concessionaria di Nespresso per la regione Lazio, devono aver gradito. Che si apprezzi o no il caffè più amato da George Clooney, una domanda bisogna però farsela: è possibile che il governo paladino della sovranità alimentare, della difesa del made in Italy debba per forza approvvigionarsi di caffè da una multinazionale svizzera?
L’acquisto è da record, con il governo Conte che, per sostenersi nella redazione dei famigerati DPCM che ci hanno accompagnati in pandemia, ne ordinò 27mila. Certo, sappiamo benissimo che, per quanto si voglia essere alimentarmente sovrani, i minuscoli quantitativi di caffè coltivati in Italia non sono certo sufficienti a sostenere un governo, e non abbiamo la pretesa di vedere una microtorrefazione di specialty coffee rifornire il governo, né di vedere Meloni gingillarsi tra aeropress, V60 e cold brew, anche se il pensiero ci stuzzica. Ma davvero, tra Torino, Piacenza o Trieste -e sono solo alcuni esempi- non si è riusciti a trovare un’alternativa più vicina?