Il Giappone ha inventato un metodo di fermentazione che trasforma gli scarti alimentari in mangime

Il processo sviluppato permette un riutilizzo quasi totale del cibo buttato, e notevoli risparmi energetici e ambientali.

Il Giappone ha inventato un metodo di fermentazione che trasforma gli scarti alimentari in mangime

In Giappone, un antichissimo processo come quello della fermentazione si sta rivelando un alleato attualissimo nella lotta allo spreco alimentare e negli sforzi verso la sostenibilità ambientale. È tramite questa pratica che si è riusciti a convertire migliaia di tonnellate di cibo, altrimenti destinato alla discarica, in cibo per maiali, il tutto con un notevole risparmio economico, limitando gli sprechi e riducendo le emissioni.

La perseveranza di un veterinario

takahashi

Il tutto nasce dalle ambizioni di Koichi Takahashi, un veterinario che ha da sempre nutrito il desiderio di salvare il pianeta, attraverso una sua personale visione di economia circolare. Con l’età e l’esperienza capì che i suoi sforzi andavano concentrati in un settore specifico e, nel 1998, il governo giapponese gli fornì l’ispirazione, lanciando un progetto di ricerca per convertire gli scarti di cibo in mangimi, in un periodo di forte crisi del settore. Takahashi si mise subito al lavoro, ma le questioni da risolvere erano molte: la grande diversità dei cibi che avrebbe dovuto lavorare, l’altro contenuto di acqua che lo faceva andare a male, e l’impossibilità di disidratarli a causa dei quantitativi energetici richiesti, simili a quelli di un inceneritore. La soluzione di tutto questo arriverà da una pratica che in Giappone ha una pratica millenaria, quella della fermentazione.

I risultati

maiali

Collaborando con università e istituzioni, Takahashi mette a frutto la sua esperienza di veterinario per sviluppare un mangime liquido e lattofermentato per i suini, non senza qualche intoppo. Le prime versioni del prodotto portavano a una crescita troppo lenta dei maiali e a carni troppo grasse, ma la sperimentazione ha poi allo sviluppo di un prodotto con un apporto nutritivo ottimale, e con un ph che gli permette di non essere soggetto a batteri patogeni, raggiungendo una shelf life di una decina di giorni senza necessità di refrigerazione, in un ciclo produttivo che riduce del 70% le emissioni dei gas serra.

La produzione

Lo stabilimento che produce questo innovativo ed ecologico mangime si trova a Sagamihara, a un paio d’ore di Tokyo, ed è già diventato oggetto di visite da parte di scolaresche e semplici curiosi che vogliono scoprire di più sul riciclo e l’economia circolare. Qui vengono lavorate circa quaranta tonnellate di ingredienti al giorno, fornite da aziende ben felici di ridurre le spese di smaltimento che invece pagherebbero se i loro rifiuti venissero inceneriti. Le materie prime sono molto variabili, anche se il siero di latte, scarto delle lavorazioni casearie, è sempre presente, ma non mancano avanzi di sushi o gyoza. I prodotti vengono poi tritati, schiacciati e sterilizzati, e poi messi in vasche di fermentazione.
Secondo gli allevatori locali la qualità dei suini nutriti con questo mangime è superiore, e la loro carne è sempre più diffusa tra i ristoratori come un’alternativa sostenibile.