A pochi giorni dalla celebrazione della Giornata mondiale dell’alimentazione, in agenda il 16 ottobre e incentrata sul tema del cibo come diritto di ogni persona, ragioniamo, dati alla mano, sulle difficoltà economiche degli italiani fra le corsie del supermercato. Un cittadino su tre, secondo una recente pubblicazione di cui vi parliamo tra qualche riga, acquista prodotti in prossimità di scadenza per riempire il carrello spendendo meno. E alla fine, sprecando di più.
Povertà, qualità e spreco
Impegnarsi per ridurre gli sprechi alimentari è un’azione nobilissima, per il pianeta e per mille altre ragioni. I modi per farlo li conosciamo tutti: acquistando cibo in scadenza, programmando i pasti della settimana in modo da comprare solo lo stretto indispensabile, recuperando alimenti non più freschissimi tramite app come Too Good To Go e compagnia bella. Ma quando il ricorso a tecniche simili diventa una necessità piuttosto che una scelta etico-ambientale, la storia cambia.
Poco più di un mese fa, è arrivato sugli scaffali delle librerie italiane La spesa nel carrello degli altri, di Ilaria Pertot e Andrea Segrè, che attraverso “tredici storie di sopravvivenza alimentare ed esistenziale” racconta l’impoverimento alimentare in Italia. L’opera ci offre dati preoccupanti (ma non sorprendenti) sulla capacità di spesa degli abitanti dello Stivale, dove i cittadini più in difficoltà, a differenza di quanto sosteneva quest’estate il ministro Lollobrigida, non mangiano affatto meglio dei più benestanti.
Si ricercano prodotti più economici e quindi spesso più scadenti, si fa la spesa nei discount con conseguente riduzione della qualità, si comprano cibi prossimi alla scadenza e che quindi facilmente verranno buttati via. E qui arriva il paradosso: il peggioramento delle condizioni economiche va di pari passo con l’aumento dello spreco alimentare.
L’ovvio paradosso
A inizio anno, la campagna di sensibilizzazione Spreco Zero, curata dal già citato Andrea Segrè, ordinario di politica agraria internazionale e comparata presso l’Università di Bologna, ha presentato un report sul tema in cui evidenzia che il ceto medio-basso spreca il 17% in più e il ceto popolare il 7% in più rispetto alla media nazionale. I motivi si trovano fra le stesse azioni compiute alla ricerca del risparmio. Diventa chiaro così che il paradosso è un’ovvietà: per spendere meno si acquistano alimenti peggiori e/o in scadenza che spesso finiscono per essere gettati nell’umido perché non (più) buoni.
Un maggiore potere d’acquisto permetterebbe di riempire le buste in maniera più consapevole, evitando di conseguenza anche gli sprechi. Così potremo scegliere consapevolmente di ordinare una sporta gigantesca di prodotti avanzati al forno sotto casa perché siamo dieci colleghi a pranzo, e non perché immaginiamo di risparmiare per poi buttare tutto via.