Pare che dalle parti di Bud Light abbia cominciato a tirare una brutta aria. Nulla di nuovo, diranno i nostri lettori più attenti: l’ormai nota campagna di marketing in collaborazione con l’attivista transgender Dylan Mulvaney ha infatti condannato il marchio di birra a lunghe settimane fitte di controversie e difficoltà, con tanto di boicottaggio su larga scala, smacchi e figuracce e la fioritura di nuovi competitor che hanno impostato il proprio prodotto su di uno spettro ideologico del tutto opposto raccogliendo un enorme successo. Più recentemente Anson Frericks, ex presidente della società madre di Bud Light Anheuser-Busch, ha esortato l’attuale CEO del marchio di birra a dimettersi dalla sua posizione a causa dei suoi fallimenti. Che tira una brutta aria l’abbiamo già detto?
Bud Light e le conseguenze della campagna con Dylan Mulvaney
Pare inevitabile, in altre parole, che qualcuno dovrà pagare per la disfatta. Stando a quanto lasciato trapelare dai media a stelle e strisce alcune figure interne al brand furono licenziate dopo appena una manciata di giorni dall’inizio della vicenda; l’azienda di comunicazione responsabile della campagna naviga “nel panico“ (e vorremmo ben vedere) e ora persino la stessa poltrona del CEO di Bud Light pare abbia preso a scottare.
La lettura proposta da Frericks è tanto semplice quanto brutale – Brendan Whitworth, attuale CEO di Bud Light, dovrebbe rinunciare al proprio impiego prima di fare ulteriori danni. Un modo leggermente (ma solo leggermente) più formale di dire “quella è la porta: non dimenticare di chiuderla quando te ne sarai andato”. Secondo l’ex capoccia di Anheuser-Busch Whitworth avrebbe fallito “molteplici opportunità per raddrizzare” la faccenda e “chiaramente dimostrato di non essere in grado di risolvere la crisi”.
“La decisione della compagnia di birra di fare di Dylan Mulvaney il volto di Bud Light è costata l’incredibile cifra di 20 miliardi di dollari – e oltre – in valore di capitalizzazione di mercato persa” ha spiegato Frericks. La vicenda, poi, è diventata ancora più incandescente nel momento in cui la stessa Mulvaney ha accusato il marchio di mancato supporto pubblico: “Mulvaney ha fatto qualcosa che Whitworth avrebbe dovuto avere la saggezza di fare settimane fa” ha commentato Frericks. “Tagliare ogni legame”.
L’ex presidente ha poi criticato le risposte offerte dall’azienda definendole “debole e indecise” nel migliore dei casi se non addirittura “del tutto prive di significato”. Aria fritta, insomma: il tipo di comunicati stampa di un’azienda in forte difficoltà che tenta di giocarsi la carta anonima delle parole piene di vento. La sentenza di Frericks, infine, è una sola: “Non mi fa affatto piacere esprimere un giudizio del genere” ha spiegato “ma è chiaro, almeno per me, che è tempo che gli azionisti e il consiglio di amministrazione di Anheuser-Busch chiedano a Whitworth di dimettersi“.