Il caso Asia Valente: davvero basta questo per farvi andare in un ristorante?

Asia Valente, influencer, è finita nel mirino dell'Antitrust: di tutta questa storia, tuttavia, c'è qualcosa che non ci convince.

Il caso Asia Valente: davvero basta questo per farvi andare in un ristorante?

Il caso Asia Valente allunga un’ombra di cui vale la pena parlare. Vogliamo dire, capiamo bene che anche l’occhio vuole la sua parte, comprendiamo che il fascino, o più banalmente la bellezza, sia tanto soggettivo quando monetizzabile, e conosciamo anche la storia del carro con i buoi e tutto il resto; ma veramente è sufficiente uno scatto senza pretese di un bel visino per convincere ad andare in un dato ristorante?

Prima di affrontare la ciccia della questione sarebbe opportuno mettere un po’ di puntini sulle i: chi è Asia Valente, tanto per cominciare, e per quale motivo il suo nome è affiancato alla – sempre scomoda – parola “caso”? In breve, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha avviato un procedimento istruttorio nei confronti della nostra protagonista, che tra parentesi – ma l’avrete già intuito – fa l’influencer, e di Meta-Instagram.

Il caso Asia Valente spiegato

instagram

La faccenda è relativamente semplice: la nostra protagonista sarebbe finita sotto la lente dell’Autorità per le numerose foto e video di ristoranti, di spa, di hotel e di altre strutture turistiche che tappezzano i suoi canali social, con le quali si ritiene possa per l’appunto intrattenere rapporti commerciali, senza tuttavia utilizzare “alcuna dicitura che evidenzi la natura promozionale di questi contenuti”.

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In altre parole, Asia Valente pubblicava contenuti di natura promozionale, con ogni probabilità dietro compenso, senza la scritta o l’hashtag Adv che tendenzialmente accompagna i posti di questo tipo. Da qui l’attenzione, immaginiamo non voluta (almeno questa), dell’Antitrust, che ha aperto una istruttoria assieme a Instagram-Meta per “messaggi potenzialmente ingannevoli”, resi tanto più gravi dal fatto che la nostra protagonista “vanterebbe una notevole popolarità basata su un numero consistente di follower, circa 2 milioni, la maggior parte dei quali sembrerebbe non autentica”.

Ora, al di là di ogni lente dell’Antitrust e nota redatta in legalese più o meno stretto, ad animarci è semplicissima curiosità. Basta un’occhiata, anche distratta, per rendersi conto che i contenuti di Asia Valente sono quasi del tutto privi di contenuto: la sua vetrina social è un omogeneo carosello di foto della nostra protagonista che finge di mangiare accompagnate da didascalie laconiche o del tutto inesistenti (tra le più “ricche” segnaliamo un entusiasta “Viva la Sicilia” e un più futurista “Carne top”). Nient’altro. La domanda ci sorge spontanea: ma davvero si paga per avere dei post così? E questi post funzionano?

Come accennato Asia Valente non è sola a dovere affrontare l’indagine dell’Autorità. Meta-Instagram, infatti,”non fornirebbe adeguata informazione sull’esistenza e sulle modalità d’uso dello strumento per contrassegnare i contenuti brandizzati né controllerebbe l’effettivo e corretto utilizzo di tale strumento, soprattutto in relazione a contenuti promozionali pubblicati da utenti estremamente popolari, quali gli influencer”.