Il caporalato anche nei vigneti delle ricche Langhe: il video che lo dimostra

Tra le scintillanti colline delle Langhe continua a strisciare l'ombra del caporalato, tra stipendi da fame e aggressioni a colpi di spranga.

Il caporalato anche nei vigneti delle ricche Langhe: il video che lo dimostra

Il caporalato come fiume carsico: tutti, governo compreso, sappiamo che esiste, ma ha la curiosa capacità di sparire e poi riaffiorare quando la luce dei riflettori si fa particolarmente intensa. Ci riferiamo naturalmente al caso di Satnam Singh, il bracciante abbandonato mutilato e morente dal proprio datore di lavoro; ma come accennato sarebbe ingenuo – e anche nitido indicatore di malafede – pensare che si tratti di un caso isolato. Il caporalato è una piaga tenace e pervasiva, e vive anche nelle ricche dorsali delle Langhe.

Insomma, lo dicono i numeri – da recenti controlli da parte delle forze dell’ordine sono risultate irregolari due aziende agricole su tre – e lo dicono anche e soprattutto le testimonianze, i video, le voci che sfidano le maglie brutali dello sfruttamento. Video, per l’appunto: nelle ultime ore sono emerse immagini che dimostrano la piena portata della violenza a cui i migranti sono sottoposti tra i vigneti delle Langhe.

Colpi di spranga e minacce

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Il video in questione mostra un caporale marocchino, ora ai domiciliari, intento a picchiare un bracciante utilizzando un bastone di ferro. Il tutto è avvenuto tra i filari circondanti il comune di Neive, in provincia di Cuneo, già parte dell’area di produzione del Barbaresco e “porta”, per così dire, alle scintillanti colline delle Langhe.

Stando a quanto emerso da tre diverse indagini della squadra mobile di Cuneo coordinata dalla procura di Asti, i braccianti venivano pagati dai tre ai cinque euro all’ora, con giornate lavorative che duravano dalle dieci alle quindici ore. Complessivamente le indagini hanno portato agli arresti domiciliari di due caporali – un marocchino, già citato, e un macedone – e alla disposizione del divieto temporaneo di esercitare attività professionali per un terzo individuo di cittadinanza albese.

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Da una parte un inferno di ferro e sfruttamento, dall’altra la ricca fanfara delle colline riconosciute dall’Unesco, dove il caporalato – come già emerso da una simile inchiesta dello scorso marzo – esiste anche nella corte del Barolo. Vale poi la pena notare che in un fabbricato di proprietà del caporale macedone, nel paese di Mango, gli agenti hanno trovato altri diciannove migranti (quasi tutti extracomunitari) ammassati e in condizioni igieniche precarie ma comunque costretti a pagare un affitto che veniva trattenuto dalla paga.

Le forze dell’ordine hanno per di più scoperto che l’indagato teneva nascosti 16 mila euro in contanti, e che lui stesso aveva installato un sistema di videosorveglianza domestico collegato col suo cellulare, per tenere sotto controllo anche a casa, come sui campi, i braccianti sfruttati.