Ma come, non c’era la crisi del vino? Non abbiamo forse passato gli ultimi giorni a scrivere che i numeri indicano una bilancia commerciale piena di segni rossi; a spiegarvi che se gli acquisti online sono in mano ai Boomer non c’è niente di cui stupirsi; a raccontarvi di come anche uno dei più importanti colossi internazionali degli alcolici si è stancato della bevanda di Bacco e sta ritirando gli investimenti? E allora che sta combinando Joe Tsai, presidente miliardario e co-fondatore di Alibaba, investendo in Borgogna?
La nostra prima intuizione è che Tsai evidentemente non legge Dissapore. La seconda è che si tratti di una storia che merita una certa dose di puntini sulle i. Mettiamoceli, dunque: Tsai, stando a quanto riferito da Bloomberg, si sarebbe unito a un consorzio che avrebbe a sua volta acquisito alcuni appezzamenti nel cuore di una delle più prestigiose regioni vitivinicole della Francia. E dunque?
La regola del lusso
Gli appezzamenti in questione si troverebbero a Gevrey-Chambertin, uno dei fulcri di maggiore (in termini quantitativi) produzione della Côte d’Or e casa di nove Grand Crus. È chiaro, e forse addirittura scontato, che la potenza di fuoco non è un problema per il nostro protagonista: il suo patrimonio netto, secondo il Bloomberg Billionaires Index, è di circa 6,9 miliardi di dollari.
Allo stesso tempo vale la pena sottolineare che Tsai si trova in buona compagnia. Il suo socio e altro fondatore di Alibaba, Jack Ma, aveva ad esempio acquistato lo Château de Sours nell’Entre-Deux-Mers di Bordeaux nel 2016 per una somma mai rivelata; e altri grandi nomi del club dei Paperon de’ Paperoni – Bernard Arnault, e poi vari membri delle famiglie Bouygues, Dassault, Perrodo, Pinault e Rothschild, per fare qualche nome – avevano a loro volta acquistato tenute e vigneti francesi.
Chiudiamo, infine, con il farvi notare che la proprietà in cui Tsai ha una partecipazione non producono il proprio vino. Ciò che è ancora più particolarmente interessante (e al contempo doveroso da ricordare) è però il fatto che il settore dei cosiddetti vini di lusso, di fatto, segue regole profondamente diverse dai binari percorsi dal resto del mondo del vino. Ci spieghiamo meglio.
I consumi sono in calo, e non è un segreto. Normale: sono anni in cui vige la regola dello stringere la cinghia, e l’acquisto di alcolici (vino incluso) è comprensibilmente scivolato verso gli ultimi piani della classifica delle priorità. In un periodo così incerto, tuttavia, ecco che le bottiglie di alta gamma (o i terreni, in questo caso) diventano investimento.
I dati del Knight Frank Luxury Investment Index indicano che il settore del fine wine è cresciuto del 16% nel 2021, e addirittura del 137% negli ultimi 10 anni, qualificando i due incrementi più alti nei beni di lusso. La crisi c’è: il vino, però, si fa evidentemente riconoscere anche e soprattutto come bene-rifugio per i super ricchi.