Una vendemmia inevitabilmente mutilata dal caldo, dalla violenza del cambiamento climatico, dall’imperversare della peronospora. Ci stiamo riferendo al vigneto del nostro caro e vecchio Stivale, trovatosi a fare i conti con una delle annate più dure di sempre che, numeri alla mano, ha di fatto compromesso il primato del Paese come primo produttore di vino al mondo. Ma diamoci un’occhiata, dunque, a questi numeri: stando a quanto emerso da un’analisi della Coldiretti la produzione di vino italiano attesta una produzione in calo del 14%, arenandosi così su di una mole complessiva di 43 milioni di ettolitri (lo scorso anno, giusto per darvi un’idea, furono 50 milioni).
Vendemmia in corso: l’annata no del vino italiano
In termini prettamente – è bene notarlo: non abbiamo ancora parlato di qualità – quantitativi il 2023 è uno dei peggiori anni della storia del vino italiano, mano nella mano con il 1948, 2007 e 2017. Mors tua vita mea, si potrebbe dire: ci pare naturale che, in un contesto del genere, qualcuno sia destinato a scavalcare il vigneto dello Stivale per assicurarsi, almeno per quest’anno, il titolo di primo produttore di vino al mondo. Questo qualcuno, alcuni di voi già l’avranno intuito, è la Francia, forte di una produzione prevista compresa tra i 44 ed i 47 milioni di ettolitri.
Non scadiamo nel celolunghismo, però: lo scettro del primo produttore è storicamente volubile, e considerando la particolare – e pericolosa – congiunzione climatica viene da pensare che il grado di imprevedibilità non potrà fare altro che aumentare. È per di più bene notare, come abbiamo sottolineato poche righe fa, che il nostro discorso è stato fino a questo momento impernato sul contesto quantitativo: la partita per la valorizzazione della produzione, in altre parole, è ancora tutta da giocare.
A oggi la vendemmia continua a essere un cantiere aperto: se le previsioni per i volumi di produzione sono ormai altamente attendibili – salvo, e facciamo corna, eventi atmosferici dalla portata e dalla magnitudine particolarmente eccezionale -, molto ancora dipenderà dall’evoluzione delle temperature e delle precipitazioni e dall’impatto dei cambiamenti climatici. In questo contesto, la scelta del giusto momento per la raccolta e la lavorazione in cantina diventa ancora più fondamentale.
Vino buono nella botte piccola. I rapporti riguardanti l’aspetto qualitativo, sottolinea nel frattempo la Coldiretti, fanno ben sperare: la produzione ” in Italia si attende comunque di alta qualità” nonostante i volumi ridotti. Non manca, infine, la zampata maliziosamente nazionalista di stampo coldirettiano: l’Italia “può contare su 635 varietà iscritte al registro viti, il doppio rispetto ai francesi”, si legge nel rapporto. Ma ci eravamo promessi di non scadere nel celolunghismo.