I turni di notte fanno, in senso lato, male alla salute? Si tratta di una domanda a cui, a volte forse più per intuito che per vera e propria conoscenza scientifica, sentiamo di potere rispondere con una certa sicurezza – di certo lavorare nelle ore tradizionalmente dedicate al riposo e viceversa non è l’ideale, ecco. D’altro canto, la comunità scientifica ha a più riprese sottolineato le conseguenze più o meno gravi derivanti dall’alterazione de normali ritmi circadiani, che alternano il ritmo veglia e sonno sulla base delle ore di luce – conseguenze che spaziano da un maggiore rischio di contrarre il diabete o di sviluppare una condizione di sovrappeso fino alla depressione.
Tra le numerose attività che rimangono inevitabilmente stravolte dal lavoro notturno ne esiste una da cui, per un discorso banalmente fisiologico, non possiamo esimerci – il mangiare, naturalmente. A questo punto la domanda sorge spontanea: i turni di notte possono alterare l’appetito?
Altro che spuntino di mezzanotte
Uno studio condotto da un gruppo di studiosi dell’Università di Bristol e poi pubblicato sulla rivista Communications Biology ha tentato di rispondervi. La pietra angolare del percorso di ricerca è stato il corticosterone, un ormone che nei topi svolge un compito equivalente a quello che il cortisolo svolge negli esseri umani: si tratta, per farvela semplice, di una sorta di “termometro” che regola uno stato di progressiva allerta, aumentandolo nelle ore che precedono la veglia e diminuendolo nelle ore diurne.
Gli scienziati hanno dunque somministrato ad alcune cavie da laboratorio alcune infusioni di tale ormone, andando fondamentalmente a “ritoccare” il loro normale orologio biologico. Immaginatevi, in poche parole, dei topi che vengono assunti in fabbrica e sono costretti a fare dei turni di notte.
A questo punto i ricercatori hanno preso a osservare alcune oscillazioni nell‘appetito: nonostante i topi “impegnati nel turno di notte” consumassero di fatto la stessa quantità di cibo dei loro colleghi “normali”, circa la metà di esso veniva consumata in orari in cui avrebbero dovuto normale. Un mutamento che parla chiaro: è stato notato un notevolissimo scostamento degli orari dei pasti solitamente seguiti dagli animali, segno di un’evidente alterazione dell’appetito.
Tale alterazione, stando alla lettura degli scienziati, sarebbe stata causata da un aumento dell’attività dei geni che regolano la fame in momenti diversi da quelli tradizionali. I geni responsabili della produzione di proteine necessarie a stimolare l’appetito, in altre parole, rimanendo attivi nei momenti in cui sarebbero dovuti rimanere “silenziati”.
Come tradurre quanto osservato in consigli utili agli esseri umani alle prese con i turni di notte? I ricercatori consigliano di seguire pratiche come il Time-Restricted Eating, ossia restringere la finestra oraria dedicata all’alimentazione.