Ve la facciamo facile – è ancora peggio di quanto potessimo pensare. Tra una torbidità e un insabbiamento, partiamo dalla solidità delle certezze: le emissioni di metano degli allevamenti di bestiame giocano (e hanno giocato, e continueranno a giocare) un ruolo chiave nel contesto del cambiamento climatico. Non è un caso, giusto per fare un paio di esempi, che la Commissione Ue abbia proposto di accorparli alla direttiva sulle emissioni industriali; o che, numeri alla mano, la carne di manzo sia stata nettamente individuata come il cibo più inquinante in assoluto.
La proverbiale tana del Bianconiglio, tuttavia, va ancora più in profondità. Una recente esclusiva pubblicata dal The Guardian, infatti, svela che alcuni ex membri dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO) sarebbero stati “censurati, sabotati, indeboliti e vittimizzati per più di un decennio” dopo avere scritto dell’effettivo contributo delle emissioni degli allevamenti al cambiamento climatico, con le lobby agricole che avrebbero così messo a tacere le voci più pruriginose dei rapporti in questione.
La testimonianza degli ex membri della FAO e il ruolo delle lobby agricole
La prima pietra dello scandalo risalirebbe al lontano 2006, anno che vide la pubblicazione di Livestock’s Long Shadow (d’ora in poi convenientemente abbreviato in LLS), o “La lunga ombra del bestiame”: un rapporto ormai entrato nella storia che per la prima volta suggerì la ormai ovvia correlazione tra le emissioni degli allevamenti e la crisi climatica. Numeri alla mano, LLS arrivò ad attribuire il 8% delle emissioni globali di gas serra al bestiame.
La pubblicazione del rapporto finì per scioccare un settore – quello degli allevamenti, di fatto – che da tempo vedeva nella FAO un alleato affidabile, e stando a quanto riportato dal The Guardian finì anche per stimolare agitazioni in seno alla stessa Organizzazione. Secondo, ancora una volta, quanto confessato dagli ex membri della FAO – che hanno comprensibilmente preferito restare anonimi – tra il 2009 e il 2019 i piani alti dell’organizzazione ha compiuto numerosi tentativi per sopprimere le indagini sul collegamento vacche/cambiamento climatico; arrivando a riscrivere e diluire maliziosamente i passaggi chiave, seppellendo i documenti più scottanti e escludendo gli autori da riunioni e vertici interni.
“I lobbisti ovviamente sono riusciti a influenzare la situazione”, ha detto un ex funzionario. “Hanno avuto un forte impatto sul modo in cui venivano fatte le cose alla FAO e c’era molta censura. Far passare i documenti prodotti oltre l’ufficio per le comunicazioni aziendali era sempre una dura lotta e bisognava respingere una buona dose di vandalismo editoriale”.
“C’è stata una notevole pressione interna” ha aggiunto un secondo ex funzionario “e ci sono state conseguenze per il personale a tempo indeterminato che ha lavorato a questo, in termini di carriera”. La grande macchina della morte e dell’ipocrisia non poteva fermarsi, in altre parole: censurare, mutilare, insabbiare.
Il parere dei “dissidenti”, se così a questo punto vogliamo definirli, è per di più che le più recenti stime stiano grossolanamente sottovalutando l’impatto delle emissioni degli allevamenti: calcoli relativamente recenti, ad esempio, indicano che tali emissioni dovrebbero rappresentare una cifra compresa tra il 16,5% e il 28,1% sul totale globale; mentre le valutazioni “ufficiali” si arenano a un bel più umile 11,2%.
La lunga ombra degli interessi a qualsiasi costo. C’è chi, con un briciolo di malizia, potrebbe vederla anche sugli affari di ordine nazionale: conoscendo quanto appena emerso, sotto che luce dovremmo interpretare l’accesissima (e non sempre limpida) lotta del governo italiano contro la carne coltivata?