I mari sono pieni di pesci dipendenti da farmaci e droghe

Ci sono trote fatte di metanfetamina, persici dipendenti dai farmaci antidepressivi, interi banchi di pesci che hanno cambiato sesso a causa della pillola contraccettiva.

I mari sono pieni di pesci dipendenti da farmaci e droghe

Tra trent’anni nei mari ci sarà più plastica che pesci, promette il WWF; e a oggi tre esemplari su quattro – pescati nelle acque della Nuova Zelanda, certo: ma ci sentiamo di dire che il resto del mondo non se la stia passando particolarmente meglio – presentano già tracce di microplastiche.

Life in plastic is fantastic, già, ma non è tutto qui: tra un tonno di PVC e una medusa che fa il cosplay di una borsa della spesa, infatti, c’è anche spazio per le trote fatte di metanfetamina e per i persici dipendenti dai farmaci antidepressivi. Ma com’è possibile?

Gli effetti dei rifiuti farmaceutici sui pesci

plastica

A far luce ci pensano i colleghi del The Guardian raccogliendo una serie di studi che, nel corso degli anni, hanno preso in esame gli effetti dei rifiuti farmaceutici e di altre sostanze chimiche rilasciate nell’ambiente. Qualche esempio sparso?

I figli dei pescatori non vogliono continuare l’attività di famiglia I figli dei pescatori non vogliono continuare l’attività di famiglia

Abbiamo trote che, come accennato, passano le proprie giornate a inseguire la prossima dose di metanfetamina per placare il fuoco dell‘astinenza; abbiamo persici che a causa della fluoxetina non scappano di fronte ai predatori; abbiamo storni che, dopo aver assunto del Prozac, non risultano più “attraenti” ai potenziali compagni; abbiamo alcune popolazioni ittiche che, a causa dell’influenza della pillola contraccettiva, hanno subito un inversione di sesso innescando un evento di estinzione locale.

Numeri alla mano, uno studio recentemente pubblicato su Wiley indica che poco meno della metà (il 43,5%, a essere ben precisi) delle 1052 sedi di campionamento prese in esame (distribuite, è bene notarlo, in ben 104 Paesi: capite perché in apertura di articolo, parlando della Nuova Zelanda, abbiamo peccato di generalizzazione?) sono di fatto contaminate da rifiuti farmaceutici. Ma come?

“Ci sono numerosi percorsi attraverso i quali queste sostanze chimiche entrano nell’ambiente” ha spiegato al The Guardian Michael Bertram, professore assistente presso l’Università svedese di scienze agrarie. “Se c’è un trattamento inadeguato dei farmaci rilasciati durante la produzione, questo è un modo. Un altro è durante l’uso. Quando un essere umano prende una pillola, non tutto il farmaco viene scomposto nel nostro corpo e quindi, attraverso i nostri escrementi, gli effluenti vengono rilasciati direttamente nell’ambiente”.

Il risultato? Gli ecosistemi hanno cominciato a inzupparsi di caffeina, di ansiolitici, antidepressivi, di antipsicotici e naturalmente anche di droghe illegali, come la cocaina o la metanfetamina. La soluzione? Beh, è complicata. Un primo passo potrebbe essere sensibilizzare medici, farmacisti e veterinari circa le ricadute ambientali dei farmaci che prescrivono; ma difficilmente può essere sufficiente a risolvere il problema.

Secondo Gorka Orive, professore di farmacia presso l’Università dei Paesi Baschi, è altrettanto necessario intavolare una progettazione molecolare effettivamente sostenibile: “I farmaci devono essere progettati non solo per essere efficaci e sicuri” ha spiegato, “ma anche per avere un rischio potenziale ridotto per la fauna selvatica e la salute umana quando sono presenti nell’ambiente”.