Si alza un nuovo grido dalla società animalista (o, più in generale, savia) contro la potenziale diffusione e il finanziamento governativo degli allevamenti intensivi di polpi. Nuovo è il grido perché relativamente nuova è la pratica – all’essere umano, si sa, piace andare indietro piuttosto che avanti. Sul fuoco delle più recenti polemiche, portate in piazza in occasione della Giornata mondiale del polpo, ha soffiato il vento di una ricerca pubblicata lo scorso settembre dall’associazione senza scopo di lucro Compassion in World Farming che dettaglia, Paese per Paese, le cifre sborsate da vari Stati per incentivare la pratica e i progetti a essa correlati.
Il problema degli allevamenti intensivi di polpo
Il dibattito sull’allevamento dei polpi è grosso modo recente, perché fino a poco tempo fa questo animale marino estremamente intelligente aveva avuto la “fortuna” di essere pescato soltanto in forma selvatica, ancora non costretto in ambienti confinati e verosimilmente insalubri come molti dei suoi colleghi commestibili, di mare e non. Ma il richiamo del profitto non si è lasciato pregare e ha raggiunto anche territori fino a ora inesplorati, scatenando l’ira della società animalista o forse, più in generale, degli esseri pensanti.
Ma dove sta il problema? Che differenza c’è tra un allevamento intensivo di polli e uno di polpi? Nessuna, se non una consonante. Ed è forse (anche) questo ad aver acceso gli animi dei contrari. Se da una parte è sempre più pressante la richiesta di pratiche di allevamento più sane ed etiche, questa risposta rema in senso diametralmente opposto.
Ci sono poi specifiche caratteristiche di queste creature che alimentano ancora di più la furia delle piazze online e offline. I polpi sono animali capaci di tante cose: sanno costruire ripari, risolvere problemi complessi, giocare. Sono, insomma, senzienti (e quindi esistono animali di categoria A e B? No, ma non è il caso di tuffarci ora nel vortice infinito dell’antispecismo). Oltre a questo, si distinguono per la loro propensione alla solitudine, per cui rinchiuderli ammassati gli uni agli altri potrebbe scatenare reazioni aggressive. Le associazioni sottolineano infine la necessità di pescare grandi quantità di animali acquatici per poter sfamare i polpi allevati.
I finanziamenti pubblici per gli allevamenti intensivi di polpo
E questi finanziamenti pubblici, allora? Il PDF disponibile sul sito di Compassion in World Farming, l’associazione che incoraggia metodi di allevamento etici e sostenibili, ci offre una panoramica più che dettagliata sui principali Stati in cui, dalle sue ricerche, i governi contribuiscono allo sviluppo di progetti per l’allevamento intensivo di polpi. La classifica è guidata dalla Spagna (capeggiata dalla multinazionale Nueva Pescanova), che avrebbe investito 9.722.372 di euro nella pratica, di cui 3,6 milioni provenienti da sostegni europei; seguono Cile, Italia (con 253.750 euro – non una grande cifra, ma pur sempre rappresentativa) e Messico. Il destrorso Secolo d’Italia, riferendosi alla lotta contro la pratica, parla di “follia animalista”. A noi vengono in mente tante altre formulazioni, ma questa, di certo, non è quella che sceglieremmo.