Hot Chip Challenge: l’Antitrust vieta la pubblicità e la vendita della patatina più piccante al mondo

Niente più Hot Chip Challenge: arriva il pollice in giù dell'Antitrust.

Hot Chip Challenge: l’Antitrust vieta la pubblicità e la vendita della patatina più piccante al mondo

La patatina più piccante al mondo spenta dall’Antitrust. La cosiddetta pietra (patata?) dello scandalo è anche e soprattutto l’apparato comunicativo che ne accompagnava pubblicità e vendita, con il prodotto che veniva presentato “incitando soprattutto i giovani – alla maniera di una sfida – a consumarlo senza bere e resistendo alla sua piccantezza”. Una ricetta che non può che portare al disastro, considerando anche e soprattutto il target di riferimento.

Niente più Hot Chip Challenge, dunque: a deciderlo, come dicevamo, è stata la stessa Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato al termine di un procedimento avviato nei confronti della società Dave’s, distributrice del prodotto in questione. Il provvedimento, in termini più concreti, va a vietare tanto la vendita quanto la pubblicità.

Hot Chip Challenge: un’occhiata al provvedimento dell’Antitrust

hot chip challenge

L’impalcatura contestuale della Hot Chip Challenge è quella a cui vi abbiamo accennato in apertura di articolo – si tratta, fondamentalmente, di una tortilla chip condita con Carolina Reaper e Trinidad Scorpion, due tra i peperoncini più piccanti al mondo, che l’azienda produttrice fondamentalmente invitava a consumare resistendo alla risposta fisiologica di bere un qualcosa per stemperarne gli effetti. I nostri lettori più attenti ricorderanno che il suo distributore italiano ne sospese la vendita nel nostro caro e vecchio Stivale qualche mese fa, a inizio di dicembre scorso; ma è tuttavia bene notare che la patatina era ancora tranquillamente in vendita su di altri siti.

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Il semaforo rosso dell’Antitrust dovrebbe scrivere in maniera definitiva la parola fine. L’Autorità ha individuato “profili di illegittimità” della pratica commerciale proprio nell’induzione a “una sfida rivolta perlopiù a consumatori adolescenti (anche attraverso i social media) e la non adeguata rappresentazione delle informazioni sui rischi per la salute connessi all’uso del prodotto”.

Il nodo più pruriginoso della questione, in altre parole, si declina su due strade diverse – un “eccesso” di comunicazione nell’invitare a prendere a parte alla cosiddetta Hot Chip Challenge e una carenza per quanto invece concerne le doverose avvertenze sanitarie. L’Antitrust, infatti, contestava la “mancanza di informazioni rilevanti su un prodotto alimentare che poteva mettere in pericolo la salute e la sicurezza dei consumatori, specie se bambini o adolescenti”.

La decisione finale “l’Autorità è intervenuta con successo per tutelare i consumatori più giovani e più influenzabili da messaggi che li inducono a mangiare prodotti anche pericolosi, facendo leva sulla loro propensione ad accogliere le sfide lanciate sui social media”. Vale la pena notare, in conclusione, che gli effetti potenzialmente letali della sfida in questione erano già noti da tempo: una “sorella” della Hot Chip Challenge – la One Chip Challenge, per l’appunto – finì sotto lo scrutinio delle autorità sanitarie per avere causato la morte di un quattordicenne negli Stati Uniti.