Tra le conseguenze più prorompenti (e preoccupanti) della guerra tra Russia e Ucraina c’è senza ombra di dubbio il grande rincaro ai prezzi di grano e mais, tanto da raggiungere il livello più alto degli ultimi 14 anni. C’è qualcuno, però, che pare si sia stato in grado di prevedere il futuro e correre ai ripari prima che la situazione sfuggisse di mano: la Cina.
Negli ultimi mesi del 2021, infatti, il Paese del Dragone aveva intrapreso una manovra commerciale che all’epoca fu definita “inusuale” (e che ora potrebbe essere definita “sospetta”) per acquistare e stoccare il 60% del grano (ma anche il 69% di quelle di mais) presente sui mercati mondiali, con conseguente terremoto (minuscolo, se consideriamo quanto sta succedendo ora) dei prezzi. Una mossa “inusuale”, per l’appunto: alcuni la attribuivano a una strategia per tamponare nuovi effetti (magari ancora sconosciuti in occidente) dei cambiamenti climatici; ma ora fare quel due più due e immaginare che Pechino fosse a conoscenza di un’invasione del principale produttore al mondo (l’Ucraina, per l’appunto) cambia drammaticamente le carte in tavola.
Chiaro, mentre la Cina faceva incetta (e la guerra pareva un qualcosa di lontano e astratto, una parola appartenente ai libri di storia) l’Europa non è stata propriamente a guardare: a gennaio 2022 la Commissione si era interessata all’aumento dei prezzi dovuto agli acquisti smodati della Cina, e la stessa delegazione Italiana Forza Italia-Ppe aveva inviato una richiesta al Parlamento europeo di intervento sui prezzi agricoli “derivanti dalle politiche di mercato aggressive di Pechino”. Fast forward di un mese, e siamo all’8 di febbraio: Cina e Russia stringono un patto in cui il Dragone approva l’importazione di grano e orzo “da tutte le regioni russe”.