Grazie a un astronauta italiano si coltiveranno ortaggi nello spazio

Franco Malerba, primo astronauta italiano, ha co-fondato Space V, startup che permetterà di coltivare frutta e verdura nelle prossime missioni spaziali.

Grazie a un astronauta italiano si coltiveranno ortaggi nello spazio

Glis scienziati della Nasa l’aveva promesso, entro il 2030 ci sarà una presenza fissa dell’uomo sulla luna: è l’obiettivo del programma Artemis, che nel 2022 ha inviato sul nostro satellite, tramite la navicella spaziale Orion, un primo gruppo di manichini pionieri, per raccogliere dati utili al futuro equipaggio umano.

Manichini che, al contrario di astronauti in carne ed ossa, non necessitano ovviamente di alimentarsi, ma quello del cibo in assenza di gravità è un tema fondamentale dell’esplorazione a lungo termine dello spazio, e non solo in termini di conservazione: poter contare su ingredienti freschi e di qualità fa tutta la differenza in una situazione così estrema.

E per i futuri astronauti c’è una novità: il loro collega Franco Malerba, primo italiano nello spazio, ha fondato una startup che permetterà di mangiare frutta e verdura fresche durante le missioni spaziali.

La startup “Space V”

serra spazio

Space V è il nome della startup di cui Malerba è cofondatore, in collaborazione con l’Università di Genova, e ha presentato all’ultimo Euroflora il suo prototipo di serra spaziale dinamica per coltivare piante e ortaggi in orbita. Intervistato da Wired, il primo astronauta italiano evidenzia l’importanza del progetto: “fino a oggi gli astronauti si sono nutriti di cibo portato da terra, disidratato e termostabilizzato, privo di vitamine fresche, perché è un cibo che deve durare mesi, stoccato gradatamente a bordo”.

“Ora però -continua Malerba- ci stiamo preparando al ritorno alla Luna, a un utilizzo più vasto delle stazioni spaziali orbitanti, anche per attività commerciali, non più solo per la pura di ricerca. Quindi, si sta allargando la domanda di cibo fresco utile alla salute e al nutrimento degli astronauti”.

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Il prototipo si basa sulla tecnologia “Adaptive Vertical Farm”, brevettata dalla stessa Space V, ed è una serra a struttura multipiano dinamica, che può adattarsi alla crescita delle piante, in grado di raggiungere efficienze altissime. APV può infatti produrre ortaggi con rese produttive doppie rispetto alle serre verticali tradizionali (da +108%, fino a un massimo di 135% di produzione delle piante per unità di volume), e con un risparmio energetico del 43%, il tutto in uno spazio minimo, come è necessario in una missione spaziale.

Spiega Malerba: “in un contesto del genere una serra compatta come questa, con una resa elevatissima, è un vantaggio fondamentale. Poiché andiamo a condizionare solo lo strato immediatamente vicino alla pianta, avvicinando i ripiani quando la pianta è appena seminata, riduciamo la quantità di energia necessaria per la sua crescita. Sono due elementi che la rendono particolarmente virtuosa in ambito spaziale”.

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Ogni scaffale è dotato di micro-condizionamento indipendente, e il sistema permette anche di coltivare diverse piante su ogni piano, mescolando ad esempio pomodorini e rucola e, visto lo spazio limitato, si tratterà ovviamente di “microgreens”, i micro ortaggi tanto apprezzati nella cucina gourmet, ma non è solo una questione di spazi.

“Si tratta di piante che normalmente sarebbero destinate a crescere molto -approfondisce Malerba- ma che vengono invece raccolte nella loro prima fase quando hanno appena sviluppato le prime foglie che sono ricche di materiali antiossidanti. Ci sono scienziati che stanno studiando questi aspetti e sono nostri interlocutori nello sviluppo del progetto. Ad esempio, si è scoperto che anche il tipo di luce, il colore e l’intensità, sono importanti nella crescita di alcune piante per avere un maggiore apporto di vitamina C”.

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Poter coltivare nello spazio ha anche ricadute positive sulla psiche degli astronauti: “gli astronauti sono isolati, lontani dalla Terra, e sentono la mancanza della natura: avere a disposizione delle piante che crescono, qualcosa di vivo, può fare bene allo spirito. C’è ad esempio la storia dell’astronauta Scott Kelly che aveva preso a cuore una pianta di zinnia che stentava a crescere nella serra della Stazione Spaziale Internazionale. L’ha curata con impegno, esponendola ai raggi solari, ravvivandola. Avere delle piante a bordo vuol dire non solo avere un alimento sano ma dare la possibilità agli astronauti di svolgere attività piacevoli”.

Il progetto sembra già un successo. Fondata nel 2021, Space V è subito stata inclusa nell’incubatore di startup dell’ESA e ha già incassato importanti finanziamenti, viste anche i benefici che una ricerca del genere può avere anche sulla terra, per la coltivazione in situazioni ed ambienti estremi