Due ottimi raccolti consecutivi non sono sufficienti per garantire all’Australia un ruolo di rilievo nell’attuale configurazione del mercato globale del grano, scosso prima dallo scoppio della guerra in Ucraina e poi dalla sospensione delle esportazioni da parte dell’India, poi parzialmente allentata per far riprendere il flusso verso i Paesi più bisognosi o con i quali erano già stati raggiunti degli accordi. Le difficoltà, nel caso di Canberra, riguardano principalmente la catena di fornitura e la logistica: trasportare fino alle navi la produzione nazionale e poi smistarla verso i mercati che ne hanno richiesto una parte è diventato decisamente problematico quando consideriamo i più recenti rincari ai costi di spedizione, che di fatto hanno determinato un ulteriore rialzo del prezzo di mercato del grano australiano.
Un rincaro che, di fatto, ha automaticamente messo in fuori gioco i Paesi più poveri, che per l’appunto facevano tradizionalmente affidamento ai prezzi russi trovandosi così impossibilitati di fare acquisti troppo esosi per mera carenza economica. Importante notare, nel contesto del raccolto australiano, che di solito Canberra esporta circa 17,6 milioni di tonnellate di grano l’anno ma che quest’anno la voce “export” si è arricchita fino a spedire circa 26 milioni di tonnellate – una crescita supportata, come accennato, da una campagna produttiva da record che riempito i silos nazionali con 36 milioni di tonnellate. Nella stagione correnti gli agricoltori hanno invece piantato circa 14 milioni di ettari e, stando a quanto riportato dagli esperti, le condizioni paiono particolarmente favorevoli (grazie soprattutto alle piogge fortissime degli ultimi mesi); tanto che le stime più recenti fanno prevedere volumi di esportazioni simili anche per il 2022-23.