L’equazione è molto semplice – il raccolto cresce se c’è acqua, perché se non piove i semi si seccano. Niente di eccessivamente complicato, no? Ecco, i problemi iniziano nel momento in cui consideriamo che di acqua, di fatto, non ce n’è. Eh sì, perché di fatto ormai il cosiddetto oro blu è una incognita che sfugge a qualsiasi previsione dettata dall’esperienza di vita o dal buonsenso: ottobre e novembre sono, tradizionalmente, tra i mesi più piovosi dell’anno, ma i cieli continuano a mostrare con stolida insistenza uno sfondo vuoto e azzurro; e la semina del grano, da tradizionale attività autunnale, diventa una pericolosa scommessa nell’era della siccità.
Alla carenza idrica si accompagna il proverbiale elefante nella stanza, l’anomalia che tutti hanno sotto gli occhi e attaccata alla pelle ma che nessuno vuole affrontare apertamente in una sede più seria che non sia una chiacchierata al bar: il grande caldo. Sì, è vero, c’è il problema del caro bollette e avere venti gradi agli inizi di novembre potrebbe, almeno in questo senso, fare comodo, ma di fatto Madre Natura non può fare a meno di essere confusa da queste temperature così grottescamente fuori stagione – tanto che diverse piante hanno preso a fiorire con largo anticipo.
Così, la decisione di cominciare la semina di grano non può che essere declinata, come accennato, nella pericolosa dimensione della scommessa: si seminano i campi nella speranza che, prima o poi, la pioggia faccia la sua comparsa.