Se vi sembra di stare leggendo una storia già vista è perché, a onor del vero, è proprio così. Dopo un’impennata improvvisa negli ultimi giorni, che ha portato i prezzi del grano a segnare un rincaro del 6,6% in appena ventiquattro ore, ecco l’ennesimo crollo che di fatto rischia di mettere in ginocchio gli stessi agricoltori. Un deprezzamento che, secondo la lettura proposta da Cia-Agricoltori Italiani, va “contro ogni logica”, specie quando affiancato al rincaro della pasta (+17%), e che di fatto porta con sé l’inconfondibile puzzo della speculazione.
Nell’arco di una singola settimana le quotazioni sono passate da 565 euro/ton. alle attuali 520 – un’impennata che, di nuovo stando a quanto sostiene la confederazione agricola, è effetto delle notizie “fatte girare ad arte” di presunte stime abbondanti sul prossimo raccolto in Canada. Stime che, secondo Cia, sono animate da una fretta a dir poco maliziosa (ricordiamo la trebbiatura in Nord America si effettua fra tre/quattro mesi) e pubblicate per indurre i cerealicoltori a vendere quanto prima, causando il calo dei prezzi in questione. Nodo della questione rimane il giusto prezzo da riconoscere agli agricoltori: “Se il costo medio di produzione per ettaro di grano duro si attestava, sui 700 euro, oggi ne occorrono almeno 1200″ sottolinea Cia.
Un rincaro determinato in primis dal costo del carburante agricolo (schizzato a 1,60 euro al litro) e ai cali della produzione (dovuti in primo luogo all’imperversare della siccità), e che di fatto rende difficile organizzare una nuova semina per l’autunno, portando – continua Cia – a ” una maggiore dipendenza di materie prime dall’estero e un danno alla filiera della pasta 100% Made in Italy”.